domenica 18 luglio 2010

2015


Dopo lunghe trattative con la polizia penitenziaria sono riuscito ad ottenere il permesso per l’accesso a Milano. Mi dicevano che non sono pericolosi, però ho dovuto passare molti test psicologici per dimostrare quel minimo di stabilità mentale che mi permettesse di entrare e uscire senza essere sopraffatto dalla malattia.

Da quando, due anni fa, la città è stata dichiarata inagibile e chiusa dentro un muro ed una cupola energetica impenetrabile, che subito tutti hanno ribattezzato il panatun, a nessun corrispondente era mai stato concesso di entrare. E a me è toccato quello che pensavo essere un privilegio e che ora, posso dire, non augurerei al mio peggior nemico.

Una volta superati i ferrei controlli del solo varco d’accesso di porta nebbiosa lo spettacolo è straziante per gli occhi ma soprattutto per l’animo anche di chi, come me, pensava ormai di avere visto ogni bruttura.

Tutto sembra essersi fermato a dieci anni fa: la gente si muove a passo veloce per le vie del centro, le signore passeggiano con tacchi improbabili fin dalle prime ore del mattino, le automobili sono ferme incolonnate ai semafori o davanti alle deviazioni dei cantieri; tutto sembra normale tranne che per un silenzio irreale che avvolge tutto quanto. Ma quando scende la sera ci si accorge della dura verità: la stessa automobile è ancora ferma allo stesso semaforo e da lì non si muoverà mai più anche se la signora dagli occhi iniettati di sangue sta ancora insultando il furgone dei surgelati che sta davanti urlando “- è un anno che è verde!” (in realtà sono due!). Fra poco si addormenterà per risvegliarsi domattina e ricominciare a ringhiare, solo dopo aver preso un cappuccio decaffeinato tiepido con molta schiuma e zucchero di canna accompagnato da un cornetto farcito alla crema di nocciole brasiliane (in realtà si tratterà della solita brodaglia prodotta con la cicoria coltivata negli orti dei pensionati che si trovano appena sotto le mura e non ho voluto sapere di cosa fosse farcito il cornetto). I vecchi telefoni cellulari squillano ovunque e tutti parlano ad alta voce fra di loro senza rendersi conto che non parleranno mai più con quelli che stanno nel mondo reale, ma mi viene un groppo in gola nel capire che a nessuno importa.

I finti negozi di abiti lavano e riciclano quello che i cittadini buttano nelle pattumiere pensando che sia fuori moda; finte carte di credito strisciano richiamando vecchie banche che, grazie al cielo, non esistono più.

Grande soddisfazione si percepisce fra i pedoni per l’eliminazione totale dei barboni e dei mendicanti che intralciavano lo sguardo ed il passeggio; nessuno di questi ha scelto di vivere nella finzione preferendo una libera esistenza negli stenti.

Ovviamente la televisione è ciò che consente il controllo dell’ordine pubblico, così come accadeva prima della costruzione del muro: la quasi totale scomparsa delle insulse reti televisive di pochi anni fa non ha riscontro dentro alla vecchia Milano dove vengono replicate all’infinito le risse urlanti e le cronache sanguinolente.

I ristorantini trés chic offrono tutti lo stesso polpettone prodotto tritando gli avanzi degli ospedali dei comuni vicini, ma la città dei creativi decide il valore del locale dall’originalità dei nomi delle singole portate.

In cima ai palazzi dominano i vecchi manifesti con i faccioni dei politici di qualche anno fa che promettono ringraziano arringano, inconsapevoli artefici di questa pietosa situazione: tutti ricordano che, quando nel 2009 il direttore d’orchestra Claudio Abbado chiese la piantumazione di 90000 alberi in città, come compenso per tornare a dirigere alla Scala, venne sfruttata l’immediata euforia pre-elettorale per far partire la posa di una foresta di alberi intorno alla tangenziale che, in realtà, nascondeva il cantiere del doloroso muro.

Altri manifesti glorificano l’expo che avrebbe dovuto svolgersi proprio in questi giorni: se si domanda ai poveri passanti è evidente come siano tutti molto inorgogliti dall’evento anche se scappano quasi subito rispondendo a finte telefonate generate a caso dal computer centrale. Non vogliono ricordare che nessuno fu in grado di organizzare alcun expo e che proprio negli amministratori che sostenevano di lavorarci, fu per la prima volta individuato il disturbo neurologico di perdita del senso della realtà (da allora volgarmente detto: guarda-mi-l'ano). Quasi tutti gli interpellati sostengono che: “…forse domani si libereranno qualche ora per visitare l’expo” ma è stato verificato dai medici curanti che nessuno sa bene cosa sia un expo e a nessuno sarebbe comunque interessato nulla.

Fuori da lì il mondo è cambiato; è riapparsa la speranza che l’intelligenza collettiva possa portare ad una civiltà e tutti quanti noi che siamo riusciti ad uscire da Milano speriamo di avere lasciato lì dentro i nostri peggiori incubi insieme alle automobili grandi come scuolabus.

Mentre mi accompagnavano fuori dal recinto ho incrociato un tipo losco con abiti un po’ tamarri, che mi sembrava di conoscere.

Poi, d’un tratto, mi è tornato alla mente: “Hei Pliskin!” gli ho gridato.

Si è fermato un istante e, senza voltarsi, mi ha detto “Chiamami Iena”.

Buona fortuna ragazzo! Qualunque sia la tua missione qui dentro ne avrai bisogno.

1 commento:

  1. Il giorno dell'inaugurazione dell'Expo, un esercito composto da dodici scimmie al comando di un ecologista psicopatico, srotolerà dalle guglie più alte del Dom de Milàn, come atto di terrorismo psicologico, un enorme telone con il testo di questo post ormai messo all'indice più severo dalla censura preapocalittica

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