“… ed è per questo che la storia dà i brividi, perché nessuno la può fermare.”
Francesco De Gregori
LA PREMESSA
Forse non è così risaputo che, in Europa, la Storia sia un invenzione settecentesca.
Mi spiego meglio.
Prima della fondazione delle Accademie d'arte Nazionali e delle grandi campagne di rilevamento dei monumenti dell'Antichità Romana e Greca non esisteva l'idea di conservare gli edifici delle epoche precedenti. Molti palazzi romani sono costruiti con le pietre razziate dal Colosseo e dai monumenti dell'antichità ed il teatro di Marcello (del I secolo a.C.) è solo parzialmente riconoscibile perché inglobato, senza troppi complimenti, in un palazzo rinascimentale.
Insomma il concetto di conservazione architettonica non era per nulla condivisa tanto che nei comuni Italiani di epoca medioevale e anche rinascimentale si moltiplicavano le leggi che vietavano di lasciar crollare gli edifici antichi NON perché questi dovessero essere preservati ma perché così facendo non si aggiravano le gabelle che l'amministrazione incassava per l'accesso in città dei nuovi materiali da costruzione...
Nel corso del '700 le Accademie d'arte diventarono in Europa un strumento molto potente per la creazione di una cultura storica per i nuovi Stati nazionali pubblicando e diffondendo fra i loro studenti i risultati delle campagne di rilievo dei monumenti antichi: Roma, Pompei, Paestum e poi in Grecia nei primi anni dell''800.
Ovviamente se uno storico di professione leggesse le cose che sto scrivendo verrebbe ad aspettarmi sotto casa per darmi quello che mi merito.... però, se vogliamo essere un po' romantici possiamo immaginare che il momento preciso in cui nasce una coscienza storica sia quando, in un assolato deserto egiziano, davanti ad un tramonto infuocato Napoleone Bonaparte arringa le sue truppe iniziando il suo celebre discorso: “Dall'alto di queste piramidi 40 secoli di storia ci guardano...”.
C'era bisogno a quel tempo di ricostruire le radici storiche di un impero che aveva visto letteralmente decapitate (...) le sue istituzioni e Bonaparte, portandosi, appresso all'esercito, 160 scienziati per studiare le opere dell'antico Egitto dimostrò la sua intenzione di utilizzare la memoria storica come collante di una società ancora tutta da costruire.
Oggi, nella cultura occidentale e soprattutto in quella italiana, la conservazione degli edifici del passato è diventato un valore condiviso al punto da creare situazioni alla rovescia in cui l'autorità delle soprintendenze e di una normativa necessariamente generica, vista la sovrabbondanza di edifici antichi o anche solo vecchi, fanno sì che ci si strappi le vesti per preservare quasi tutto.
Me se è vero che il confine fra ciò che è vecchio (e quindi da buttare anche se è carico di ricordi) e quello che è antico (e quindi di pregio) non è oggettivo ma culturale, allora chi è giusto che decida che cosa deve essere conservato e che cosa demolito?
In Italia abbiamo un'istituzione che sta lavorando ai confini del miracoloso nel campo della conservazione del patrimonio architettonico e che ci mostra quale sia la via corretta: il Fondo per l'Ambiente Italiano (FAI) investe in monumenti che hanno un valore storico ma anche un potenziale di riutilizzo collettivo. Recuperare un edificio di pregio per poi lasciarlo nuovamente decadere sarebbe uno spreco di soldi e nient'altro... Tutti i monumenti gestiti dal FAI vengono recuperati o perché hanno una qualità intrinseca che permetta loro di diventare dei poli di attrazione o anche perché possono diventare contenitori di eventi o funzioni che saranno in grado di mantenerli sia finanziariamente che a livello di immagine.
IL PROBLEMA
A Santhià si trova un complesso di edifici abbandonati che i profani come me conoscono come l'ex consorzio ma che in realtà è il vecchio molino Ugliengo. Si trova lungo il corso del Naviglio d'Ivrea, (del quale sfruttava la forza motrice) di fronte alla strepitosa Stazione Idrometrica e alla centrale idroelettrica gestita dal Consorzio Ovest Sesia.
Sono stato accompagnato in una visita avvincente da Marco Roggero, docente al Politecnico di Torino che, insieme ad altri, si è preso a cuore il destino di questi vecchi muri che resistono splendidamente alle intemperie e allo scorrere del tempo, facendoli studiare da alcuni gruppi di studenti della Facoltà di Architettura i quali stanno producendo tesi di ricognizione storica e anche progetti di riutilizzo.
E' quasi incredibile che, a pochi metri dal supermercato costruito grazie alla demolizione di una parte dei magazzini del molino, si sia costretti a camminare in una giungla di rovi che introduce in ambienti inimmaginabili per fascino, ampiezza e stato di abbandono.
Ora la proprietà del complesso è di un privato che, giustamente, vorrebbe avere il suo tornaconto dall'investimento come, ad esempio, demolire il tutto e farci abitazioni e negozi che, a dispetto della discreta saturazione del mercato edilizio, garantirebbero comunque una incasso superiore al lasciare ogni cosa lì a decomporsi...
LA DOMANDA
In un contesto piccolo come quello santhiatese ci sono anche altri edifici che stanno terminando, dimenticati, la loro lunga storia: l'ex convento dei Francescani, i Carabinieri Reali e alcune cascine notevoli. Esiste una comunità locale intenzionata a spendersi per trasformare un romantico ricordo in un luogo dove si produce e si tramanda la propria cultura? C'è il luogo, e ci sono le idee e gli uomini. Se ci fosse anche l'intenzione, probabilmente, non sarebbe un problema trovare i soldi.
LA CONCLUSIONE
Bé... se sono stato sufficientemente eloquente avrete capito che il finale non posso scriverlo da solo...
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