venerdì 23 luglio 2010

troppi numeri?

C'è un dialogo all'interno di Il pendolo di focault di Umberto Eco fra due personaggi, dai nomi - Belbo e Agliè - e dalle origini sfacciatamente piemontesi, in cui si disserta in modo molto erudito sul simbolismo dei numeri e sulla loro capacità di spiegare i misteri dell'umanità. Belbo (la cui espressione ricorrente è: "gavte la nata") difende uno scritto nel quale si elencano le incredibili coincidenze fre le dimensioni delle piramidi egizie a Giza e i numeri che misurano il nostro pianeta, il sistema solare e alcune date fondamentali della storia dell'uomo; per contro Agliè riesce a smontare quest'impalcatura simbolica ottenendo lo stesso risultato con le misure del chiosco dei giornali che vede fuori dalla finestra di casa sua…
Ritengo attuale ricordare questo romanzo del 1988 perché già da allora, e sempre di più negli ultimi anni, il mondo della comunicazione ha fatto (troppo?) affidamento sul forte valore simbolico che il pensiero illuminista ha assegnato al numero, alla misurazione e all'oggettività di cui essi sono portatori. Forse è più evidente ciò che voglio dire pensando alla recente ed estenuante campagna elettorale in cui ogni contendente ha portato cumuli di dati a proprio sostegno, tutti ugualmente verosimili eppure tutti ugualmente in contrasto con quelli degli avversari.
In questo panorama culturale soffre profondamente di questa sovrabbondanza di numeri chi è costretto, per mestiere, a divulgare dati che spesso appaiono smisurati e al limite della credibilità come i paladini della sostenibilità ambientale.
Un esempio?
Sulla rivista Abitare del gennaio scorso si afferma che, in Europa, l'industria dell'edilizia consuma il 45% dell'energia prodotta; produce il 40% dell'inquinamento atmosferico; consuma il 40% delle risorse non rinnovabili; produce il 40% dei rifiuti…
Troppo grande sembra il problema perché un singolo individuo possa immaginare di essere decisivo per la sua soluzione. Rimane la netta divisione fra coloro che prestano attenzione alla crisi ambientale, e quindi sono disposti ad informarsi e a spendere (tempo e soldi) in vista di un habitat migliore, e coloro che, in assenza di un tornaconto immediato, ignorano la questione.
Un piccolo ma significativo progetto che si sta portando avanti a Torino può essere portato come modello per scardinare questo sistema di cose: nel quartiere di edilizia residenziale pubblica di via Arquata, realizzato negli anni '20 con circa 900 alloggi, dal 2005 si sta realizzando POLICITY, un programma di ristrutturazione rivolta al risparmio energetico con l'utilizzo di fonti rinnovabili, voluto all'interno di un contratto di quartiere da una serie di istituzioni locali (Azienda Territoriale per la Casa, Comune, Centro Ricerche FIAT, AEM, Politecnico) e dalla Commissione Europea. Ciò che rende interessante l'iniziativa è la cospicua percentuale di investimenti dedicata al coinvolgimento degli abitanti nell'iter di progetto e alla sollecitazione di comportamenti virtuosi che sfruttano al meglio le potenzialità delle tecnologie impiegate. È inoltre in atto un monitoraggio socio-economico su 100 famiglie coinvolte per verificare come e quanto il progetto abbia modificato i comportamenti e, una volta per tutte, il rapporto costi-benefici nella vita quotidiana. Attenderemo con ansia i risultati, previsti per i prossimi mesi, per capire se la sostenibilità è un costo vivo o se si può vivere meglio risparmiando.
Un possibile percorso virtuoso però ci viene fin d'ora indicato dalla diatriba fra Agliè e Belbo. Il primo taglia corto, lapidario: "È la logica della ricerca e della scoperta che è perversa, perché è la logica della scienza. La logica della sapienza non ha bisogno di scoperte, perché già sa. Perché si deve dimostrare ciò che non potrebbe essere altrimenti?"

www.arquata.it

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