mercoledì 28 luglio 2010

sabato 24 luglio 2010

forma e sostanza

..comodo ma, come dire, poca soddisfazione..
C.S.I.

Volete provare un'esperienza di straordinario design? Fate un giro per la vostra casa a verificare se l'interruttore che vedete nell'immagine qui accanto è montato sul cavo di una vostra lampada. Se, stranamente (è stato finora prodotto in oltre 25 milioni di esemplari) non è così potete fare come me: andate a comprarlo nel negozio sotto casa - costa 3 euro - e lo montate in 10 minuti sul cavo della vostra lampada da comodino. Poi accendete.

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Ora potete intuire perché il più famoso designer italiano, Achille Castiglioni che lo progettò nel 1968 insieme al fratello Pier Giacomo, lo riteneva il suo oggetto preferito: l'invenzione di quello scatto rassicurante, copiato da allora un'infinità di volte, lo inorgogliva e allo stesso tempo segnava il tempo della sua giornata.

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Personaggi vulcanici e geniali come Castiglioni, scomparso nel 2002, sono quelli che hanno costruito la fama del progetto industriale (per gli amici industrial design) in Italia e la fortuna economica di un settore che ancora oggi pone l'inventiva italiana all'avanguardia del mercato.
L'evento più importante al mondo legato al mercato del design è il Salone del Mobile di Milano che si svolge tutti gli anni verso la metà di aprile.
Se non siete un calciatore o una modella Milano non è una città molto divertente, ma nella settimana del salone tutto cambia: per gemmazione spontanea il Salone ha prodotto il fuorisalone che non è altro che la duplicazione dei padiglioni fieristici in giro per la città. E in giro vuol dire veramente ovunque: piazze, abitazioni, magazzini, fabbriche abbandonate o funzionanti, cantine oltre a più convenzionali showroom, musei e gallerie d'arte diventano oggetto di allestimenti spettacolari, performance mirabolanti e buffet continui ad ogni ora del giorno… I compratori, con amici, parenti, semplici curiosi e animali da compagnia arrivano da tutto il mondo ingorgando la città dal mercoledì al lunedì successivo. Per chi lavora nel settore, o cerca di entrarci, è necessario esporre: se non ci sei non esisti.
Una grande festa collettiva insomma; ma il design? Molto spesso è diluito all'interno del grande entusiasmo generale, qualche volta non c'è, molto spesso sembra una scusa per creare un'atmosfera o forse è più vero il contrario: l'atmosfera da rivista patinata che avvolge l'evento sembra essere quella che dà il senso agli oggetti. Come nella pubblicità il valore dell'oggetto viene scavalcato dall'incanto dell'evento che deve attirare più pubblico possibile.

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Quest'anno però il Salone milanese deve coesistere con l'attribuzione a Torino di capitale mondiale del Design.
L'approccio al tema è diverso, dal momento che si tratta di un evento meno sfacciatamente commerciale, ed il contesto più cultural/turistico ha favorito la produzione di alcune mostre che ci possono aiutare a capire le origini del design come lo vediamo oggi.
Segnalo due iniziative.
"L'oro del design italiano" (alle scuderie della reggia di Venaria fino al 9 luglio) espone gli oggetti che hanno fatto la storia del compasso d'oro, il premio che dal 1954 viene assegnato ogni anno dall'Associazione Designer Italiani. Gli oggetti, i vincitori ma anche l'elenco dei membri delle giurie raccontano una storia di duro lavoro, ricerca sui materiali, collaborazione fra progettisti e aziende, il tutto controllato da una consapevolezza del significato di ogni gesto progettuale programmaticamente epurato da eccentricità o protagonismi. A Palazzo Madama, fino al 6 luglio, sono esposte la vita e le opere di "Roberto Sambonet designer grafico artista. 1924/1995", uno che, con la sua famiglia, ha costruito la storia dell'industria vercellese. Sambonet è un personaggio che, a conoscerne la vita, fa venire voglia di fare molto meglio il proprio mestiere, tanta è la passione e la ricerca che metteva in ogni sua impresa e tanto semplici ma accurati risultavano i suoi oggetti di design: si tratta di uno degli ultimi cavalieri di quel modo di lavorare che metteva al centro del progetto la qualità dell'oggetto piuttosto che le suggestioni che questo può provocare.

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Ora sappiamo dove incontrare il design contemporaneo e sappiamo dove andare per capire le sue origini; ma si può intuire come sarà il design del futuro?
Provate ad andare a vedere il sito di DOTT'07 (DeSigns Of The Time), un festival che si è svolto lo scorso anno nell'Inghilterra del nord: ai progettisti invitati da tutto il mondo non è stato richiesto di progettare oggetti ma di migliorare la qualità della vita degli abitanti del luogo riprogettando il loro modo di usare lo spazio ed il tempo: e allora ecco un sistema informativo di condivisione dei mezzi di trasporto nelle zone rurali; un kit per la realizzazione di orti urbani (per annullare l'inquinamento dovuto al trasporto delle derrate); un insieme di regole per facilitare la normale esistenza dei malati di alzheimer, e così via…
Forse gli oggetti ci stanno per sparire dalle mani? Attenzione! Dovremo iniziare ad usare la testa!

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3 età - 1/2007 - artificio e natura

3 età - 4/2007 - la luce e la pelle

venerdì 23 luglio 2010

un gioco per l'estate

Vi propongo un divertente passatempo che potrete esercitare da soli o in compagnia nei luoghi di vacanza ma anche intorno a casa vostra o magari proprio in casa vostra.

- Scopo del gioco:
distinguere una buona architettura da una cattiva architettura (l'ho messa giù un po' dura: il gioco permette di valutare uno dei fattori che fanno questa differenza, però, forse, il più significativo).

- prima regola del gioco: una buona architettura è proporzionata così come è proporzionato il corpo umano, una cattiva architettura è evidentemente squilibrata.
- cenni storici sulla prima regola:
se prendete una moneta da un euro, se questa è stata coniata in Italia, su una della facce troverete il corpo di un uomo, nudo, che, bontà sua, sembra avere quattro braccia e quattro gambe. Si tratta del celeberrimo uomo di Vitruvio disegnato da Leonardo da Vinci più o meno negli anni in cui Colombo metteva piede, per la prima volta, sulle Indie Occidentali. Quel disegno nasce dal bisogno di aggiungere delle illustrazioni ad un monumentale libro intitolato "L'architettura" scritto, molti secoli prima, da Vitruvio Pollione per ingraziarsi l'imperatore Augusto e magari per farsi dare degli incarichi per realizzare qualche sontuoso edificio. Probabilmente Augusto non restò molto impressionato, dal momento che non c'è traccia di edifici progettati dal nostro eroe in tutta Roma, però la sua immortalità nasce dal fatto che il libro avrà la sfacciata fortuna di essere l'unico testo sull'architettura classica ad essere tramandato dai trascrittori medievali per arrivare sui tavoli dei Grandi Pensatori rinascimentali che ne faranno il testo sacro di ogni architetto da allora e per i prossimi 10 000 anni almeno.
Se si vuole capire qualcosa di architettura prima si va a vedere cosa dice Vitruvio, poi, se restano ancora dei dubbi, ci si può rivolgere altrove.
Il problema è che nel corso delle trascrizioni medievali sono andate perse le illustrazioni che quasi sicuramente erano allegate al testo ed è per questo che Leonardo, così come molti altri prima e dopo di lui, decide di provare a disegnare quello che Vitruvio spiega a parole. Il disegno della moneta è relativo al terzo capitolo in cui Vitruvio spiega come la simmetria e la proporzione dei templi non possa che derivare dallo studio delle proporzioni del corpo umano e delle sue parti fra di loro.
Francesco di Giorgio Martini, 1490c

- seconda regola del gioco: le misure di una buona architettura hanno origine dalle dimensioni del corpo umano mentre una cattiva architettura si dimentica che gli esseri umani faranno sempre dei passi che sono lunghi un metro (più o meno).
- cenni storici sulla seconda regola:
Una quindicina di anni fa ho assistito ad una conferenza dell'architetto olandese Aldo van Eyck: personaggio scomodo, rompiscatole, già allora settantacinquenne e ora non più tra noi. La lezione era divisa in due parti: nella prima van Eyck, molto divertito, mostrava immagini di edifici malfatti progettati da suoi colleghi famosi. Li chiamava per nome, per non offendere nessuno diceva, e mostrava un grattacielo di Philip con la porta d'ingresso alta 30 metri (forse un po' alta per un uomo di 1 metro e 80); l'ingresso di una banca di Arata dove, di 8 porte tutte uguali, solo una si apriva veramente (!!); un condominio di Aldo (quello sbagliato diceva) in cui l'ingresso era nascosto da una grande colonna cilindrica alta quattro piani (dove forse qualcuno sta ancora adesso cercando il modo di entrare).
La seconda parte era tutta dedicata ad una sola immagine: era la porta d'ingresso di una casa di fango in un villaggio del deserto africano. Van Eyck dedicò una buona mezz'ora per elencare in quanti modi quella fosse una buona architettura: quanto fosse larga e alta il minimo per far passare una persona con un secchio d'acqua in testa e non lasciar passare il terribile sole tropicale; quanto il gradino d'ingresso fosse alto il giusto per sedersi e conversare con chi passava per strada o sedeva dall'altra parte della strada e, allo stesso tempo evitare che le rare ma intense piogge facessero entrare fango all'interno; quanto lo spessore dello stipite fosse corretto per far sì che, chi stava seduto sul gradino potesse tenere la testa al riparo dal sole; e così via..

- premi: diciamo la verità, a fare questo gioco non si vince niente. O forse sì..

troppi numeri?

C'è un dialogo all'interno di Il pendolo di focault di Umberto Eco fra due personaggi, dai nomi - Belbo e Agliè - e dalle origini sfacciatamente piemontesi, in cui si disserta in modo molto erudito sul simbolismo dei numeri e sulla loro capacità di spiegare i misteri dell'umanità. Belbo (la cui espressione ricorrente è: "gavte la nata") difende uno scritto nel quale si elencano le incredibili coincidenze fre le dimensioni delle piramidi egizie a Giza e i numeri che misurano il nostro pianeta, il sistema solare e alcune date fondamentali della storia dell'uomo; per contro Agliè riesce a smontare quest'impalcatura simbolica ottenendo lo stesso risultato con le misure del chiosco dei giornali che vede fuori dalla finestra di casa sua…
Ritengo attuale ricordare questo romanzo del 1988 perché già da allora, e sempre di più negli ultimi anni, il mondo della comunicazione ha fatto (troppo?) affidamento sul forte valore simbolico che il pensiero illuminista ha assegnato al numero, alla misurazione e all'oggettività di cui essi sono portatori. Forse è più evidente ciò che voglio dire pensando alla recente ed estenuante campagna elettorale in cui ogni contendente ha portato cumuli di dati a proprio sostegno, tutti ugualmente verosimili eppure tutti ugualmente in contrasto con quelli degli avversari.
In questo panorama culturale soffre profondamente di questa sovrabbondanza di numeri chi è costretto, per mestiere, a divulgare dati che spesso appaiono smisurati e al limite della credibilità come i paladini della sostenibilità ambientale.
Un esempio?
Sulla rivista Abitare del gennaio scorso si afferma che, in Europa, l'industria dell'edilizia consuma il 45% dell'energia prodotta; produce il 40% dell'inquinamento atmosferico; consuma il 40% delle risorse non rinnovabili; produce il 40% dei rifiuti…
Troppo grande sembra il problema perché un singolo individuo possa immaginare di essere decisivo per la sua soluzione. Rimane la netta divisione fra coloro che prestano attenzione alla crisi ambientale, e quindi sono disposti ad informarsi e a spendere (tempo e soldi) in vista di un habitat migliore, e coloro che, in assenza di un tornaconto immediato, ignorano la questione.
Un piccolo ma significativo progetto che si sta portando avanti a Torino può essere portato come modello per scardinare questo sistema di cose: nel quartiere di edilizia residenziale pubblica di via Arquata, realizzato negli anni '20 con circa 900 alloggi, dal 2005 si sta realizzando POLICITY, un programma di ristrutturazione rivolta al risparmio energetico con l'utilizzo di fonti rinnovabili, voluto all'interno di un contratto di quartiere da una serie di istituzioni locali (Azienda Territoriale per la Casa, Comune, Centro Ricerche FIAT, AEM, Politecnico) e dalla Commissione Europea. Ciò che rende interessante l'iniziativa è la cospicua percentuale di investimenti dedicata al coinvolgimento degli abitanti nell'iter di progetto e alla sollecitazione di comportamenti virtuosi che sfruttano al meglio le potenzialità delle tecnologie impiegate. È inoltre in atto un monitoraggio socio-economico su 100 famiglie coinvolte per verificare come e quanto il progetto abbia modificato i comportamenti e, una volta per tutte, il rapporto costi-benefici nella vita quotidiana. Attenderemo con ansia i risultati, previsti per i prossimi mesi, per capire se la sostenibilità è un costo vivo o se si può vivere meglio risparmiando.
Un possibile percorso virtuoso però ci viene fin d'ora indicato dalla diatriba fra Agliè e Belbo. Il primo taglia corto, lapidario: "È la logica della ricerca e della scoperta che è perversa, perché è la logica della scienza. La logica della sapienza non ha bisogno di scoperte, perché già sa. Perché si deve dimostrare ciò che non potrebbe essere altrimenti?"

www.arquata.it

faidate

Lo sai cosa dice il vecchio Jack Burton in situazioni come questa?
Il vecchio Jack dice: basta adesso.
Jack Burton

C’è un grandissimo fermento in tutto il mondo per la 15° CONFERENZA SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI indetta dalle Nazioni Unite che si sta tenendo a Copenhagen proprio in questi primi giorni di dicembre.
Certo... il fermento è molto relativo... visto che la pagina su Facebook di COP15 (così si chiama l’evento) ha circa 20'000 fan mentre la nutella ne ha quasi tre milioni e mezzo!
Io sto scrivendo qualche giorno prima dell’inizio dei lavori e sono abbastanza curioso di vedere come e quanto si parlerà dell’avvenimento sui mezzi di comunicazione e se le dichiarazioni finali saranno di successo o di sconfitta.
Per spiegare di cosa sto parlando basta dire che si mira a sostituire i propositi contenuti nel protocollo di Kyoto sul controllo mondiale delle emissioni (di cui si è sentito parlare per tanti anni e che è risultato completamente disatteso) con un protocollo di Copenhagen.
In realtà dopo un generale spavento e attenzione sul clima provocati principalmente da alcuni disastri naturali (l’uragano katrina e gli tsunami che hanno colpito le coste del’Estremo Oriente) che avevano portato insospettabili governanti a fare dichiarazioni manco fossero attivisti di greenpeace, sembra che tutto si sia molto ridimensionato, tanto che il presidente di COP15 ha dichiarato che riterrebbe un successo se la conferenza si chiudesse con un accordo sui finanziamenti che India e Cina (i più grandi e inquinanti paesi in via di sviluppo) dovrebbero ricevere dalle nazioni industrializzate per obbligare le loro industrie a controllare le emissioni di anidride carbonica.
Curioso, vero? Noi mandiamo industrie puzzolenti e scorie radioattive a bruciare sotto le chiappe di persone che poi paghiamo perchè si accorgano che le nostre multinazionali li stanno avvelenando...
La sola cosa certa della conferenza è che, vista la natura dell’evento, gli eventuali accordi potranno solo essere di natura politica e starà poi a vari governi nazionali convincere cittadini e industrie a rispettare le eventuali limitazioni.
Direi che la questione sta proprio nel termine “convincere”.
Qualche giorno fa ho sentito Luca Mercalli - un meteorologo molto piemontese (il suo sito NIMBUS racconta tutto quello che si può sapere sul clima del Nord Ovest) che in televisione si occupa anche di clima globale – riportare una frase dall’ovvietà imbarazzante: il cambiamento verso la sostenibilità avverrà solo quando sarà desiderabile.
Finché sarà necessario convincere la gente ad andare contro i suoi interessi immediati per il bene delle generazioni future, purtroppo i risultati saranno scadenti.
La bistrattata ricerca scientifica potrebbe aiutarci a introdurre tecnologie pulite a basso costo ma potrebbe bastare anche una buona idea.
Un signore che vive a Tortona, americano di madre italiana, che si chiama Nathaniel Mulcahy si è meritato tre intere pagine su un numero del sole24ore del marzo scorso per aver inventato un piccolo fornello che promette miracoli.
Ispirandosi al sistema utilizzato dalle antiche popolazioni del sudamerica per produrre fertilizzante dagli scarti delle coltivazioni agricole, la worldstove, così si chiama la società di Mulcahy, manda nei paesi del terzo mondo al costo di 30 euro, un piccolo marchingegno (prima del montaggio ce ne stanno 15 in una scatola da scarpe) in cui si mettono residui organici secchi – foglie, rami, gusci vari ma anche sterco secco – e si innesca un processo chiamato pirolisi che produce una fiamma di gas metano. Lo strabiliante dell’oggetto e di tutte le sue versioni più grandi che stanno per essere messe in produzione, è che fanno in modo che l’anidride carbonica contenuta nel combustibile non venga liberata nella fiamma e quindi nell’atmosfera, ma venga fissata negli scarti che rimangono sul fondo del fornello che, come se non bastasse non sono affatto scarti ma sono carbone vegetale: un poderoso fertilizzante!
Riassumendo: mi libero di buona parte dell’immondizia organica della quale dovrei pagare lo smaltimento; produco gas con il quale posso fare quello che voglio: cucinare o scaldare dell’acqua o fare una centrale termoelettrica; non emetto anidride carbonica nell’atmosfera; come scarto della reazione mi resta del biochar, con il quale posso concimare i miei campi o che posso rivendere a 5-600 euro a tonnellata...
Macchissenefrega di copehagen?
Io mi vedo già code di sindaci dei paesini piemontesi che si spintonano per arrivare primi a Tortona e farsi fare un fornellone dove bruciare tutti gli scarti della produzione del riso e degli orti, riscaldare aggratis le case degli elettori e rivendere il fertilizzante per pagare strabilianti feste patronali!!!
E’ uno scenario sufficientemente desiderabile?

domenica 18 luglio 2010

la storia siamo noi?

“… ed è per questo che la storia dà i brividi, perché nessuno la può fermare.”
Francesco De Gregori
LA PREMESSA
Forse non è così risaputo che, in Europa, la Storia sia un invenzione settecentesca.
Mi spiego meglio.
Prima della fondazione delle Accademie d'arte Nazionali e delle grandi campagne di rilevamento dei monumenti dell'Antichità Romana e Greca non esisteva l'idea di conservare gli edifici delle epoche precedenti. Molti palazzi romani sono costruiti con le pietre razziate dal Colosseo e dai monumenti dell'antichità ed il teatro di Marcello (del I secolo a.C.) è solo parzialmente riconoscibile perché inglobato, senza troppi complimenti, in un palazzo rinascimentale.
Insomma il concetto di conservazione architettonica non era per nulla condivisa tanto che nei comuni Italiani di epoca medioevale e anche rinascimentale si moltiplicavano le leggi che vietavano di lasciar crollare gli edifici antichi NON perché questi dovessero essere preservati ma perché così facendo non si aggiravano le gabelle che l'amministrazione incassava per l'accesso in città dei nuovi materiali da costruzione...

lavorare stanca

..Cosa? E' finita? Hai detto finita? Non finisce proprio niente se non l'abbiamo deciso noi! E' forse finita quando i Tedeschi hanno bombardato Pearl Harbour?... Col cazzo che è finita!”
...i Tedeschi?!?”
Lascialo perdere... è partito!”
.. e qui non finisce perché quando il gioco si fa duro......
...i duri cominciano a giocare!”
Bluto - Animal House

Ogni volta che compriamo un prodotto in un negozio mettiamo in moto dei meccanismi economici ma anche politici dei quali difficilmente ci rendiamo conto. Solitamente scegliamo in funzione del negozio (vicino, economico, bello, nuovo, commessa carina... ecc...) o del marchio (storico, economico, lussuoso, pubblicizzato da modella carina... ecc...). Negli ultimi decenni si è sviluppata un progressiva e condivisa distanza fra il valore reale del prodotto (sia materiale che tecnologico) ed il prezzo a cui viene proposto sul mercato.
I prodotti meno costosi sono molto spesso realizzati o assemblati in estremo oriente ed il motivo è noto a tutti: capita che da quelle parti non si abbia un grande riguardo per i diritti civili e questo fa sì che un paio di scarpe che in Europa costano 150 o 200 euro vengano pagate pochi centesimi di dollaro all'operaio che le produce e se non chiamiamo questa schiavitù è forse più per pudore che per reale presa di coscienza dello stato delle cose. Questa caccia alla mano d'opera a bassissimo costo è una delle cause del declino dell'industria in occidente e anche di una serie di effetti collaterali economici, sociali e anche architettonici.
Le fabbriche in cui si costruiscono effettivamente oggetti dalle nostre parti sono in via di estinzione mentre quelle dismesse si moltiplicano per poi sparire lentamente o diventare, ancora più lentamente, oggetto di riuso.
Il mondo Occidentale sembrerebbe essersi specializzato nella produzione di servizi immateriali (fantasmi?) e al vertice di questo sistema produttivo si è installata in pochi anni Google che per dare identità alle proprie sedi nel mondo le ha trasformate in grandi parchi di divertimento (sale gioco, impianti sportivi, centri benessere, ecc) aperti giorno e notte, senza orari fissi, dove l'unico punto fermo è la data di consegna dei progetti. Sembra che questa politica stimoli oltremodo la creatività dei dipendenti che trascorrono la maggior parte della loro esistenza all'interno dell'azienda anche se qualcuno inizia a lamentare una carenza di contatti con il mondo esterno...
A Settimo Torinese si è riusciti invece ad invertire, per una volta, questo processo di smaterializzazione grazie alla strenua volontà di un sindaco che è riuscito a coinvolgere i soggetti giusti non solo per evitare che il locale stabilimento della Pirelli Pneumatici diventasse l'ennesimo rudere da rivendere all'ennesimo speculatore che ci costruisse l'ennesimo inutile quartiere residenziale di lusso, ma per trasformarlo in quello che fra pochi mesi diventerà una della fabbriche più tecnologicamente evolute in Europa. Insieme al Politecnico di Torino e alla Regione Piemonte è stata costruita una proposta che, non senza un lungo confronto, è risultata vantaggiosa per tutte le parti in causa; tutti insieme hanno poi chiesto all'architetto Renzo Piano un progetto di valorizzazione e ampliamento dell'impianto esistente in grado di far parlare di sé e di garantire la conservazione di 1240 posti di lavoro, che includerà anche un centro ricerche all'avanguardia.
Forse sto facendo un paragone un po' blasfemo, ma a cinquant'anni esatti dalla morte di Adriano Olivetti, che aveva trasformato Ivrea in un modello di organizzazione sociale, assisteremo forse di nuovo ad un piccolo esempio di imprenditoria che si fa carico di coniugare il rispetto sociale con il tornaconto.
Lavorare stanca ma lavorare insieme alle persone giuste stanca un po' di meno e dà buoni frutti.

turisti per casa

Io credo nelle persone però non credo nella maggioranza delle persone. Mi sa che mi troverò sempre a mio agio e d'accordo con una minoranza...” “Vabbé: auguri!”

Caro diario


Fino a un paio di anni fa girava questa leggenda metropolitana, che non ho mai avuto modo di verificare, su gruppetti di vecchiette inglesi che, con il carrellino per la spesa, si aggiravano con passo incerto ma sguardo deciso dalle parti del piccolo aeroporto di Bergamo.

Si diceva che abitassero a Stansted, sede di un altrettanto piccolo aeroporto a un'ora di treno da Londra, e che trovassero molto più conveniente venire mensilmente a fare compere nel gigantesco centro commerciale che si trova di fronte all'aeroporto lombardo piuttosto che affrontare i prezzi infuocati della capitale britannica. L'idea nasceva dall'istituzione del collegamento fornito da Ryanair che, a fronte di un viaggio di un paio d'ore, riusciva ad offrire il volo aereo per una decina di euro (prenotando con largo anticipo) invece della cinquantina richieste per l'andata e ritorno per Londra.

Ora, a causa del cambio molto meno favorevole fra euro e sterlina, e delle più complesse regole di sicurezza sui voli aerei quest'operazione è diventata un po' più difficile, però rimane un solido mercato turistico che collega le città i cui aeroporti ospitano compagnie a basso costo, grazie al quale, ad esempio, la meta favorita per gli addii al celibato inglesi è Tallin (Estonia)(!!) oppure che rendono conveniente passare da Berlino per poter andare con pochi soldi al mare a Madeira, che si trova dalla parte opposta, in mezzo all'oceano atlantico...

Il biglietto inter-rail (con il quale si può viaggiare in treno in Europa per un mese) che ha segnato le vacanze a basso costo di un paio di generazioni, è diventato una soluzione per ricchi, sostituito dalle compagnie aeree low cost che scodellano destinazioni insospettabili (ricompensando le popolazioni locali con un rilascio di inquinanti nell'aria paragonabile solo ad un esercito di orchi mangiatori di fagioli...).

Insomma la comunicazione globale che trasforma il nostro mondo in un virtuale villaggio a portata di parola è in parte confermata dallo sviluppo di mezzi di trasporto che tendono a ridurre i tempi di comunicazione verso alcuni luoghi privilegiati anche nel mondo fisico.

Il risvolto negativo (??) di queste operazioni di marketing territoriale sta nel conseguente improvviso isolamento turistico in cui si sono trovati intere regioni tagliate fuori dai flussi principali.

Il territorio che si vede dai finestrini dei treni ad alta velocità è diventato più difficile da raggiungere per i portafogli dei passeggeri e questo è probabilmente uno dei principali timori di chi protesta contro la TAV in Valsusa.

Ma c'è chi, invece di protestare, ha pensato di combattere con le stesse armi dell'innovazione.

Semplificando: per deviare le correnti principali dettate dai flussi turistici bisogna avere una scritta sfacciatamente attraente che appare sopra il tetto del proprio albergo quando si apre google maps, o una frecciona che dall'alto del cielo punta sulla porta del mio ristorante quando un pullman di americani guarda attraverso lo schermo del loro iphone usando un programma di realtà aumentata [questa è bellissima ma la spiegherò meglio un'altra volta...]

Ecco due idee per entrare nel flusso:

- La certificazione europea ecolabel che mira a identificare con un marchio (e successivamente a sorvegliare) le strutture ricettive che si impegnano a rispettare nel tempo tutta una serie di requisiti e di comportamenti non solo per ridurre l'impatto ambientale della struttura, ma anche per qualificare il territorio in cui questa si trova.

Al contrario di quello che si pensa in Italia, l'adesione a questo programma non è un azzardato gesto da pionieri ma piuttosto un investimento minimo, recuperabile immediatamente visto il numero sempre maggiore di turisti che, in Europa, si affida a questa rete di alberghi.

- Gli alberghi diffusi, che non sono propriamente un'idea nuova (le chambres d'hôtes francesi offrono qualcosa di simile anche se più spartano), diventano uno strumento di attrazione molto potente se uniti alla straordinaria visibilità anche a grande distanza offerta da internet.

Si tratta di strutture in cui differenti proprietari mettono a disposizione camere o piccoli appartamenti in piccoli borghi o nei centri storici delle città d'arte con il supporto di un blocco centrale in cui sono radunate le funzioni comuni di reception ed eventuale ristoro.

Un esempio di questo tipo è la rete villaggi valle elvo costituita nei comuni di Graglia, Sordevolo e Muzzano, sulla collina biellese. Un'idea semplice che con pochi investimenti può ridare vita a luoghi straordinari.


Non mi preoccuperei più di tanto se il turismo in Italia sembra fatto solo di code sulla A14 in agosto, o di gente che vuole andare a sciare l'8 di dicembre o che sopporta giorni di sofferenza per arrivare in Antartide solo per poter postare un autoscatto su Facebook...

Per fortuna per tutti gli altri vale il vecchio aforisma che suggerisce di innamorarsi di quello che non tutti capiscono, perché quando non si capisce non si può distruggere.

www.ecolabel.it

www.villaggivallelvo.it

nel paese delle meraviglie

Pillola blu: fine della storia; domani ti svegli nel tuo letto e credi a quello che vuoi.

Pillola rossa: resti nel paese delle meraviglie e vedi quanto è profonda la tana del bianconiglio.

The matrix

Quando Neo viene messo davanti alla possibilità di scegliere fra la pillola rossa e la pillola blu non conosce per niente la conseguenza delle due opzioni. Certamente sa che la condizione in cui si trova non promette niente di buono: dei loschi figuri vestiti come i blues brothers lo inseguono e lo seviziano, ma... potrebbe essere tutto un sogno. Altri sconosciuti, vestiti molto più alla moda... potrei definirli metal chic... gli fanno fare cose pericolose e improbabili, ma gli offrono in cambio la verità.

Ho sempre avuto il dubbio che la scelta epocale che ci viene raccontata nel film the matrix sia, in definitiva, la scelta fra due modi di vestirsi. Quello che è certo è la conseguenza devastante che ha sul protagonista Neo la scelta della pillola rossa. La scoperta di vivere in un mondo controllato da macchine pensanti che tengono gli esseri umani a mollo in una broda schifosa, inducendo nella loro mente l’immagine virtuale e buonista di una società vecchia di secoli (la nostra attuale) solo per produrre energia elettrica dai loro corpi ... è una di quelle che fanno la fortuna degli psicanalisti ... (se non fossero anche loro nella suddetta broda schifosa)!

La morale che mi serve estrarre da questa storia è che possiamo avere mille indizi davanti agli occhi, ogni giorno, che ci potrebbero fare capire come stanno le cose, ma non si riesce a vedere la verità (!!??!!@@) finché non si sceglie di vederla. E soprattutto una volta che si è fatta questa scelta non si può più tornare indietro.

Quando si è scelto di vedere che ogni sacchetto di plastica che compro al supermercato finirà sciolto nell’acqua che bevo o arenato sulla spiaggia dove prendo il sole; ogni diamante che compro per la mia fidanzata è passato per le mani di molti schiavi; ogni medicina che uso è stata perfezionata su bambini africani ignari che magari ne sono rimasti uccisi... allora si entra nella tana del bianconiglio e tutto cambia senso.

E allora litighi con la commessa che vuole rifilarti la gruccia di plastica per le mutande “..intanto le buttiamo via comunque”; ti schiuma la bocca quando qualcuno vuole i serramenti in PVC invece che in alluminio e diventi ostile con un caro vecchio amico solo perché ha ereditato il fuoristrada del nonno che consuma come una portaerei...

Qualche tempo fa ho sentito un’intervista alla moglie di Beppe Grillo che definiva un incubo andare a fare la spesa con suo marito: ore ed ore a leggere tutte le etichette, a confrontare le sedi dei produttori per scegliere quello più vicino, a cercare di individuare pesticidi, additivi e amministratori corrotti solo guardando il codice a barre!! Entrare nel tunnel di un’esistenza sostenibile ha i suoi pregi, ma anche alcune controindicazioni.

Il consiglio di oggi mira a introdurre in questo ordine di idee evitando troppe questione ideologiche.

E’ un piccolo software che si può scaricare gratuitamente da internet, si chiama echoes ed è stato realizzato con il contributo di Banca Etica per calcolare quanta energia si consuma nella propria casa (e quindi quanto si spende per produrla). Le operazioni da compiere per raggiungere la verità sono un po’ da smanettoni ma ricche di sorprese: prima si inseriscono i dati dello stato di fatto (prese dalle bollette, dalle istruzioni delle caldaie installate, insomma quelle cose che si dimenticano una settimana dopo che si è andati a da abitare in una casa nuova...). Poi si provano ad inserire le possibili varianti sostenibili: il programma mostra, con grafici colorati quanto e come si risparmierebbe se si installasse un impianto fotovoltaico, o un impianto solare termico, o geotermico, ecc...

La schiaffo morale che si riceve è notevole e le vecchie convinzioni si incrinano rapidamente.

E’ un po’ come aver scelto la pillola rossa ma non è necessario imparare il kung fu.

http://www.paea.it/it/echoes.php

un grado di separazione










(interno, giorno)

- Buongiorno ragazzi.

...

- ... n’giorno......

...

- Avete studiato?

...

-(ooooooh?!?)

- Bene: oggi interroghiamo............ interroghiamo........

...

...

ecco! Oggi sentiamo Pozzo che è un po’ che non lo sentiamo!

- (NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!! PERCHE’ IO!!! COS’HO FATTO DI MALE??!!??)

- Allora Pozzo: spiegami perché Churchill diceva che la democrazia è la peggior forma di governo?

...

- EEEEEEHHHHHHHH????????.......


Tutto questo non è successo a me in un remoto passato - ammetto di aver romanzato l'aneddoto - ma la stessa domanda è arrivata via sms ad una mia amica con questa premessa: t prego zia help sn a scuola: xché churchill diceva...ecc.ecc.?

Ora mi viene inevitabilmente da pensare: 1) all’eccessivo potere che le compagnie telefoniche hanno sull’educazione delle nuove generazioni!! 2) al valore in continua mutazione che le nuove tecnologie danno al concetto di cultura condivisa.

La cultura del wiki (il tipo di software che sta alla base della condivisione delle conoscenze in internet) contempla la collaborazione al sapere collettivo in modo più spontaneo e privo di sensi di colpa. Non ci sono più i bigliettini suddivisi per argomenti nei pantaloni con tante tasche passati di nascosto nel sottobanco. Oforse sì..., ma la questione è che, ormai, le ricerche scolastiche non verranno bene solo al solito bimbo fortunello che ha a casa l’enciclopedia più costosa. La rete consente a tutti di andare a porre la domanda al maggiore esperto sull’argomento (nel nostro caso la zia che, se non è una storica di professione, andrà a vedere su wikipedia o chiederà al cugino del fratello del suo collega o magari farà una ramanzina alla nipote...).

Mentre la finanza (l’economia irreale) e le istituzioni appaiono ancora troppo succubi delle grandi imprese che hanno costruito le loro ricchezze proprio sulla gelosa custodia di alcuni saperi (la formula della Coca Cola, il codice di MicrosoftWindows, ecc.), una potenziale ricchezza per i cittadini deriva dalla possibilità di non dover più pagare o perdere tempo per ottenere molte informazioni o servizi.

Il problema più importante della democrazia è ormai quello di far arrivare tutte le informazioni che condivise nella RETE raggiungendo con internet tutti i cittadini, anche nelle valli e nelle isole più remote (l’eliminazione del cosiddetto digital divide) - anche se tutta l’operazione è inevitabilmente sponsorizzata da chi utilizza internet a scopi commerciali ed è alla ricerca di nuovi mercati.

Condividere le conoscenze fra tutti i componenti di un gruppo sociale dovrebbe, oltre che far prendere le sufficienze alle interrogazioni, rendere più semplice larisoluzione dei conflitti. Prova ne sono le infinite polemiche intorno alle grandi opere infrastrutturali come la linea ad alta velocità per Lione.

Il progetto, praticamente tramato all’insaputa della popolazione locale, deve affrontare continue rivolte, mentre il cantiere, del tutto analogo, in corso di realizzazione da quasi dieci anni nel vicino Canton Ticino per la galleria di base del San Gottardo è diventato l’orgoglio delle popolazioni locali grazie ad una condivisione costante delle strategie e delle modalità di realizzazione.

Se confrontiamo una volta di più le strategie di sviluppo urbano di Milano e di Torino vediamo come, nel primo caso, ci sia una manifesta ostilità nei confronti dei più grandi progetti urbani in corso di realizzazione - Porta Nuova e Citylife - che sono stati lasciati completamente in mano a grossi immobiliaristi privati con l’ovvia conseguenza di ottenere dei quartieri chiusi e autoreferenziali.

Lo scarso rispetto nei confronti del tessuto edilizio circostante (in alcuni casi nuovi edifici di 20 e più piani che si contrappongono a 6 o 7 piani esistenti) genera dei quartieri che contengono una discreta quantità di verde ma che non lo condividono con il vicinato generando delle barriere al flusso automobilistico epedonale o comunque delle incongruenze con una ragionevole forma urbana. Altrettanto ovviamente questo comportamento genera attriti ed i progetti sono, da anni, sotto contestazione dei comitati di quartiere e delle associazioni di architetti che cercano in tutti i modi di ostacolare e far modificare i progetti con conseguenti ritardi e strascichi legali...

A Torino l’amministrazione ha optato per una scelta differente: il progetto urbano che si sviluppa intorno alle aree dismesse di barriera Milano, Regio Parco e scalo ferroviario Vanchiglia non è ancora stato precisamente definito ma è già diventato oggetto di dibattito pubblico dal momento che il Comune stesso (che intende costituire una società a capitale misto, pubblico e privato) ha commissionato una campagna di divulgazione massiccia e ineludibile (voglio dire che non è sufficiente depositare i progetti in uno scaffale del Comune per poter parlare di divulgazione...)

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Basandosi su una grafica evidente costruita sul tema del triangolo e del colore giallo si è affidato agli studenti delle scuole superiori dei quartieri interessati il compito di evidenziare in loco le aree (un milione di metri quadrati!) che saranno oggetto di trasformazione: e quindi vecchi muri scrostati, panchine in disuso, pali elettrici e strade che verranno modificate sono ora tappezzati con triangoli gialli che sicuramente metteranno il seme del dubbio e forse dell’interesse alla partecipazione ai vari incontri pubblici pianificati per condividere (invece che illustrare) le scelte progettuali con tutte le parti in causa.

Anche chiedere a gruppi di zie di fare informazione porta a porta sarebbe stato divertente, ma forse meno efficace.

don't stop




Immaginate di essere nell’ombelico del mondo nel momento in cui il mondo intero sta proprio guardando da quella parte.
Siete pigiati insieme ad altri 35 mila comici spaventati guerrieri; fa freddo, molto freddo - è novembre - e voi siete poco vestiti.
BOOOOOOOOOOM
È il cannone. Inizia la battaglia e inizia anche la festa: sale l’urlo della folla e quelli che come voi sono nel mezzo del gruppo iniziano, forse prematuramente, a togliersi le vecchie tute che hanno addosso e a gettarle a terra dove saranno raccolte per metterle a disposizione dei barboni della città. Da lontano vedete lo striscione con scritto START ma ci vorranno 11 minuti di saltelli e pigiapigia per raggiungerlo. Quando passate sotto lo striscione innumerevoli bip di cronometri che vengono avviati non riescono a superare il volume smodato degli altoparlanti che mandano una canzone dei Rolling Stones che vi rimbalzerà nella testa per le prossime ore: don’t stop dice la canzone. Adesso sembra soltanto una scaramanzia ma fra qualche ora sarà una litania che vi ripeterete di continuo.
La canzone si allontana poco a poco ed entrate in un mondo parallelo di silenzio irreale: siete sospesi a 70 metri sopra l’oceano da cui soffia un vento gelido che non promette niente di buono. State correndo e per giunta in salita; il respiro è ancora affannoso e ci vorrà un po’ perché diventi regolare. Siete svegli dalle 6 di mattina e avete dovuto aspettare al freddo per almeno un paio d’ore se non tre: è ovvio che la cosa principale che il vostro organismo vi chiede è di fare pìpì. Raggiungete la cima della salita e qui vi accorgete di due cose: i grattacieli che vedete lontanissimi sono a meno di venti km quindi dovrete arrivare là e molto oltre! La seconda cosa è che anche tutti gli altri accanto a voi hanno più o meno la stessa fisiologia e quindi stanno facendo pipì OVUNQUE: sui bordi della strada, dietro ai lampioni, in MEZZO alla strada. Uomini e donne, riparati o in piena luce del sole: la strada diventa un allegro torrentello giallo paglierino intorno al quale la vergogna non esiste!! E allora fate anche voi i vostri bisogni in un tripudio di risate e continuate a correre. In discesa per fortuna.
Il respiro comincia a farsi regolare per voi e tutti quelli intorno a voi.
Il ponte finisce e il volume della festa sale di colpo: TUTTA la città si è fermata per guardarvi passare e nessuno intende far passare la cosa sotto silenzio. Ogni isolato ha la sua orchestrina o il suo striscione di incoraggiamento in un quartiere dove normalmente sareste intimoriti a girare dentro un autoblindo. Oggi invece i ragazzini e le grasse signore si sporgono dai marciapiedi per offrirvi un high five e gridare il vostro nome (ecco perché si sono tutti scritti il nome sul petto!: “com’on John”; “go Mary go”; “daje Pippo facce sognà”).
Dopo un po’ vi spostate in mezzo alla strada perché avete la mano dolorante a forza di dare 5 a tutti! Va bene la festa ma qui c’è un lavoro da fare!
Siete su una strada a 6 corsie e ogni tanto qualche corridore sale sullo spartitraffico centrale per fermare il mare di folla su una fotografia che farà vedere ai nipotini. Certo che però portarsi dietro una macchina fotografica mentre si corre! Ci vuole una bella voglia.
Meglio non parlare di strane voglie visto che sapete, per certo, che fra un po’ vi chiederete chi diavolo ve l’ha fatto fare ad essere lì…

Per adesso tenete il passo che riuscite e state bene attenti a non perdervi neanche un rifornimento. In TV dicono sempre che bisogna bere spesso, prima che venga sete, e mangiare le famose maltodestrine. Sembra di sentire la voce di san Bragagna (la guida spirituale di noi tutti) mentre parla interrompendo il fido Monetti cercando di chiamare via radio Orlando Pizzolato il quale, da parte sua, porta avanti una tradizione pluridecennale di commentatori RAI con la radio che non funziona…
Si gira e si volta e i grattacieli si avvicinano. Una signora offre banane a tutti: potassio che fa bene; giù anche quella!


Si passa in mezzo a capannoni portuali e poi la strada inizia a salire su rampe autostradali:
META’ STRADA.
Il fiato è buono ma le gambe un po’ meno. Salite le rampe di un altro ponte, altissimo, sembra l’Everest, e quando siete in alto, sospesi sopra il mare, ritrovate per un po’ il silenzio rotto solo dal rumore dei passi e potete anche godervi il paesaggio; il piano superiore del ponte ritaglia il paesaggio come se foste in un quadro.
Diavolo! Se aveste avuto una macchina fotografica con voi!
Là in basso si vedono i palazzi in cui si decidono le sorti del mondo e più in là quelli dove si decide il tasso di interesse che renderà il vostro conto in banca e più in là ancora un grande vuoto che sembra raccontare del senso della vita e della morte: state per entrare di corsa nel cuore pulsante della civiltà occidentale. Il ponte è quasi finito e siete ancora alti in mezzo ai palazzi; sembra esserci ancora un gran silenzio, solo pochi poliziotti a guardare i corridori ma in realtà vi arriva un brivido…. Un segnale dal subconscio che qualcosa sta per succedere.
Scendete una strada ripida,
fate un’inversione
iniziate a vedere un po’ di spettatori che si assiepano sui marciapiedi
svoltate a sinistra
e qui succede:
tutto improvvisamente diventa chiaro: perché siete lì, perché i greci hanno inventato le olimpiadi, perché la gente va allo stadio la domenica, perché pochi eletti spendono la loro vita in allenamenti massacranti per meritarsi di partecipare ad una gara che, magari, viene bruciata in meno di dieci secondi.
Tutto questo solo per sentire l’urlo della folla quando si entra in uno stadio da protagonisti.
Qui lo stadio si chiama first avenue ed è un allucinante rettilineo di più di cinque chilometri in cui migliaia e migliaia di persone incitano voi e i vostri vicini senza sosta urlando cantando e sventolando bandierine. La strada è larga 6 o 8 o forse 20 corsie e sembra scivolarvi sotto i piedi senza che siate voi a dover fare la minima fatica.
Ma tutti i bei sogni finiscono e il rettilineo magico finisce su di un ponte, due curve, e un altro ponte, giusto per dire che siete veramente stati in tutti e cinque i quartieri della città, e così tornate indietro, su una strada parallela (la quinta) che, oltre a venire dopo trenta e passa km che state correndo, sembra pure un po’ in salita (ma forse è una vostra impressione…)
In uno stato di semincoscienza cercate disperatamente con lo sguardo gli alberi che dovrebbero stare nel parco che è in cima alla via. Arrivano abbastanza presto ma poi non finiscono mai. Cercate dei punti di riferimento e aspettate di passare accanto al museo più bello del mondo, ma proprio quando iniziate ad intravederlo vi fanno svoltare dentro al parco: sbirciate a sinistra per intravedere qualche quadro della cara amica Peggy e a destra vi sognate Dustin Hoffman che, in il maratoneta, corre contromano intorno al lago della Riserva.
Il parco è un incubo. Salite e discese e poi ancora salite e proprio di fianco al cartello che dice 40 sentite il crampo maledetto bastardo schifoso che vi sta per partire nel polpaccio. NO! ADESSO NO!
Rallentate. E’ ancora lì. Sapete che, oltre a fermarvi (e non se ne parla proprio: cosa dicevano gli Stones?) c’è un solo modo maledetto e schifoso per farlo passare ed è quello di accelerare un pochetto. Poco poco. Piano piano.
I muscoli cambiano un po’ posizione e si stirano ma i polmoni bruciano.
Ecco il Plaza. In quanti film l’avete visto!
Fuori dal parco. Vi trovate in mezzo ad una strada dove sarebbe giusto trovarci solo automobili, anzi solo taxi gialli guidati da De Niro che vi chiede “Hei amico, dici a me?”.
Eppoi arriva Columbus Circle dove un paio d’ore fa è sicuramente partita la volata del vincitore. Lui sarà stato più felice di voi di vedere il traguardo?
Di nuovo nel parco e una curva una salita, un’altra… MA DOVE DIAV…
Eccolo!!
Lo striscione: un sospiro. Alzare le braccia non è un gesto volontario. E’ quasi uno spasmo dei crampi che stanno per sopraffarvi. Altri 7 passano lo striscione nello stesso secondo in cui lo fate voi e mucchi di ragazzi si prendono cura di tutti; la coperta argentata (faceva freddo?), la medaglia (questa per togliervela dal collo dovranno spararvi) e la stretta di mano: “Great job”. A questi americani puoi dire tutto ma non che non sanno fare spettacolo!
Continuate ad allenarvi: al prossimo novembre mancano solo 12 mesi!

Ogni anno, la prima domenica di novembre, si corre la maratona di New York, sulla distanza classica di Km 42,195. L’organizzazione riesce ad accettare ogni anno un numero un po’ più grande di corridori. Nel 2008 i partecipanti sono stati 40000 circa ma le domande di partecipazione sono state più di 100mila.