venerdì 7 agosto 2015

a proposito di un edificio tutto bianco costruito accanto ad uno vecchio e pieno di macchie

Non saprei dire in che momento preciso del recente passato tutti gli Italiani abbiano deciso improvvisamente di preferire le cose vecchie alle cose nuove, però posso facilmente provare che non è sempre stato così.
Un centinaio di anni fa i Futuristi andavano in giro urlando di lasciare spazio al nuovo che avanzava e invocavano la guerra perché spazzasse via tutte le vecchie cose e le vecchie idee. Tra gli anni '30 e gli anni '50 si sono succeduti 2 o 3 stili architettonici uno più rivoluzionario dell'altro e nel secondo dopoguerra si è inventato il design industriale che nel resto del mondo stanno ancora cercando adesso di capire bene cos'è. Poi durante il boom economico degli anni '60 non ne parliamo nemmeno: costruire, produrre, fabbricare, inventare erano le sole parole che si sentivano in giro. Poi c'è stato un periodo abbastanza lungo di grande produzione ma di poca inventiva.

e poi...

il Nulla.

Come alla pressione di un interruttore 

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tutti gli Italiani hanno iniziato a volere i coppi sul tetto a falde.
Anzi meglio:
hanno scelto di desiderare una casa antica;
hanno deciso che il progresso è brutto e disdicevole.

Magari va bene usare la tecnologia  per qualche grattacielo di uffici in cui lavora qualche poveretto..., ma chi ha la possibilità economica di scegliere evita le case costruite dopo il 1950. 
Mentre i cattivi dei primi film di 007 dimostravano la loro sconfinata ricchezza con case futuristiche e tecnologie improbabili, dagli anni '80 in poi hanno iniziato ad abitare castelli antichi e ruderi semiabbandonati. Il potere oggi si dimostra ostentando cimeli (vd. Bill Gates che a metà degli anni '90 compra il codice Leicester di Leonardo da Vinci).

Uno che conosco dice che in epoche di ottimismo si guarda al futuro con grande aspettativa e di conseguenza tutti desiderano le novità perché non possono che portare vantaggi. Invece  in periodo di crisi si preferiscono le cose del passato perché si ha paura di quello che ci riserva il futuro.

L'immagine che ho messo all'inizio di questo breve testo ha da qualche giorno invaso tutti i siti che parlano di architettura in Italia e si sta diffondendo anche nel resto del pianeta. 
Si tratta dell'ampliamento di un albergo di Venezia che affaccia su Canal Grande e su Piazzale Roma.

Da un certo punto di vista è molto positivo che se ne parli con toni così squillanti e qualunquistici perché si crea un'occasione per discutere del rapporto fra vecchio e nuovo in architettura, ed in senso più allargato, nelle cose della vita.

Io sono favorevole ad un progetto di rinnovamento delle forme, delle tecniche e del pensiero. Solo attraverso il lavoro che riflette su cose che non ci sono ancora possiamo arrivare ad un miglioramento negli individui e nell'ambiente in cui viviamo. Quando tutta una nazione si preoccupa solamente di conservare quello che c'è da quello che potrebbe venire mi impensierisco.

Non conosco nei dettagli il progetto dell'albergo veneziano ma mi immagino che sarà stato un lungo calvario di pareri, modifiche, varianti, fallimenti e ripartenze. Lo so perché TUTTI i progetti di architettura in Italia devono passare da questa triste e mortificante trafila che difficilmente permette ad un'idea progettuale di essere ancora visibile al completamento dell'edificio.

Alcuni di coloro che si sono occupati di questo nuovo edifico nei giorni scorsi, lo hanno fatto per evidenziare alcune possibili irregolarità che ci sono state nelle fasi di approvazione, ma comunque non si sono tirati indietro nel sottolineare il loro sdegno davanti all'estetica del prodotto finito.

In questi giorni si sta anche molto parlando di grandi novità che saranno introdotte dal governo per le mansioni dei Soprintendenti, e, guardacaso, è proprio una soprintendente al centro delle polemiche sull'albergo veneziano.

L'opinione che mi sono costruito negli anni di esperienza lavorativa - e anche di ricerca sulla specifica materia del controllo normativo nei secoli passati - è che l'unico modo sicuro per avere delle belle città, delle belle case ed un bel paesaggio è quello di formare dei bravi progettisti. Non c'è norma, vincolo o soprintendente che abbia il potere di fare bello un progetto brutto.

In Italia ci sono molti bravi architetti. Però sono invisibili in una sconfinata massa di professionisti mediocri che il più delle volte hanno qualità per emergere più efficaci della competenza.

Io non so se la soprintendente veneziana ha seguito delle procedure poco limpide, ma di certo ha fatto quello che il suo lavoro le richiede: si è presa la responsabilità di una scelta estetica. La stessa cosa hanno fatto i progettisti e con loro il proprietario dell'albergo.
Probabilmente quel piccolo edificio non cambierà l'immagine di Venezia né nel bene né nel male, ma sicuramente diventerà un raro esempio di edificio costruito in un'epoca in cui gli Italiani vorrebbero solo stare fermi a guardare quello che altri hanno fatto prima di loro.

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