lunedì 26 dicembre 2011

realtà sminuita



Ogni volta che mi esalto per qualche innovazione tecnologica che sembra sovvertire completamente l'equilibrio, la forma e la percezione del mondo contemporaneo, mi viene sempre in mente un mio vecchio professore che sosteneva che dal medioevo in poi non c'è stato nessun cambiamento nell'organizzazione sociale e che la tecnologia può solo accelerare o spostare superficialmente meccanismi che sono molto più radicati e stabili di quanti sembra.
Nell'articolo che linko qui di seguito si parla di realtà diminuita, vale a dire di un sistema di visualizzazione che, usando uno strumento tecnologico come tramite (ad es. una telecamera e uno schermo, o anche un cellulare evoluto), permette di filtrare il nostro sguardo in tempo reale eliminando gli elementi che non ci interessano o che ci infastidiscono.
Lascio al collegamento la spiegazione tecnica e riporto solo uno strabiliante video.


Non c'è più la Realtà di una volta



Per noi che ci occupiamo di progettare lo spazio questa tecnologia fa subito saltare in mente una lunga sequenza di applicazioni più o meno utili e quasi sempre divertenti (far sparire potrebbe essere ancora più stimolante che costruire...).
Però c'è una frase che hanno messo gli inventori sul loro sito che mi ha bloccato l'entusiasmo: 
 ...the field of Diminished Reality is the study and research into tools that remove parts of the world around us.
Se questo è lo scopo dell'operazione allora lo strumento mi sembra troppo soft: quando si è tutti d'accordo che parti della realtà debbano essere rimosse allora gli strumenti, fin dal medioevo e anche molto prima, sono il piccone e la mazza. 
Se invece il fascino dello strumento è figlio dal vizio diffuso di non voler vedere cose che ci devono essere ma che urtano il nostro senso estetico allora il problema diventa progettuale e va a ravanare una ferita aperta.


Troppe volte ho ricevuto prescrizioni progettuali per colorare con tinte mimetiche degli edifici immersi nel verde, o dare carattere naturaliforme e meandriforme a canali artificiali.
Toppe volte ho sentito amici e nemici invocare una colorazione verde (!!!!!) per i viadotti autostradali che rovinano il paesaggio. Troppe volte ho visto turisti aspettare che non ci fossero persone o automobili che ingombrassero i loro scatti da cartolina.


I paesaggi da mulino bianco sono solo nella nostra testa e dentro al software della realtà diminuita. Nella realtà i viadotti ci sono e gli edifici sono una cosa diversa da un albero.
La realtà è un'altra cosa.



giovedì 3 novembre 2011

logica logistica


Home is where i want to be
Pick me up and turn me round
I feel numb - burn with a weak heart
(so I) guess I must be having fun

Talking Heads, This must be the place


Quanta gente, persone a mucchi, folla, moltitudini e tutti che vogliono viaggiare in prima (come dice uno che conosco). E' un continuo spintonarci, azzuffarci, arraffare perché non si sa se più tardi resterà qualcosa. Eppure non ce ne vogliamo andare dall'ombelico del mondo civilizzato anche perché sappiamo che questo è, nonostante tutto, il modo migliore di garantire la sopravvivenza della specie.
Bisognerebbe però fare in modo che chi si è scelto il lavoro di amministratore avesse la propensione (e, va da sé, la capacità) ad organizzare questa moltitudine: ora che i gruppi famigliari sono molto più spezzettati e l'associazionismo è in via di estinzione diventa ancora più importante che i governi locali possano coordinare l'uso dello spazio e del tempo in modo da evitare che chi è ingordo di interesse privato non abbia la possibilità di perpetuare il bailamme in cui ci troviamo.
La logistica è l'attività che si dovrebbe occupare di razionalizzare, usando la logica appunto, il flusso delle merci dal produttore al consumatore. Si fa un gran parlare da qualche anno del consumo di merci prodotte a kilometro zero e che quindi ha una necessità minima di trasporto. Certo quella è la soluzione auspicabile e all'interno di questa rubrica si è già parlato di sistemi evoluti come i GAS, il riciclaggio o l'autoproduzione. Ma per certi prodotti e per le città più grandi questi sistemi non sono risolutivi ed il furgoncino più o meno sgangherato che si intrufola anche nelle vie più strette per consegnare la mozzarella di bufala “fresca fresca” è ancora la soluzione dominante.
Quando però si lascia che siano solamente i soggetti privati (facciamo l'esempio più impattante: le catene di supermercati) ad organizzare l'intero percorso, ognuno per sua iniziativa, avremo come conseguenza una moltitudine di logistiche che nelle aree più dense di abitanti si sovrapporranno fino alla saturazione e alla produzione di un'ondata di illogicità.
Se però si inizia a parlare di logistica urbana, si può avere come orizzonte l'interesse di tutti i cittadini e si può quindi iniziare a ragionare.
Più la città è grande più si può immaginare che l'organizzazione possa essere complessa ma, da pochi mesi, ha intrapreso un riassetto di questo tipo una comunità come Parigi, quindi possiamo sperare che non si tratti di un'avventura impossibile.
Ad esempio in Italia la città di Padova è all'avanguardia da questo punto di vista, con una piattaforma di raccolta dalla quale le merci ripartono per la consegna all'interno della città - il cosiddetto ultimo miglio - utilizzando pochi mezzi piccoli, con motori elettrici o poco inquinanti, che riescono a servire una moltitudine di punti di vendita di differenti dimensioni. Anche la regione Emilia Romagna ha imposto per i capoluoghi delle piattaforme di smistamento merci costruite dai Comuni e poi date in gestione a privati.
Nel caso di Parigi, una società controllata dalle Ferrovie nazionali, prevede di ottimizzare la distribuzione di “pacchi” di piccole dimensioni, e fino a 200 kg, in tutti i quartieri centrali in modo da ridurre già dal prossimo anno il traffico di automezzi del 18%, per arrivare ad un obiettivo finale di riduzione delle emissioni inquinanti dell'85% (!!) nel 2015.

E non si pensi che l'impatto sull'ambiente nello spostare qualcosa da un punto ad un altro si riduca solo alle merci fisiche! Se è vero che la società contemporanea è fondata sulle informazioni anche lo scambio di dati sul web ha il suo costo ambientale.
Periodicamente appaiono notizie allarmistiche sull'impatto ambientale delle reti informatiche; l'ultima che mi è capitato di vedere recitava: ”otto mail inquinano come auto che percorre 1 km”. Si trattava del resoconto di uno studio francese (ancora loro!) arrivato a desumere che il consumo di energia di ogni mail di un megabyte produce 19 grammi di anidride carbonica (CO2)...
Non vorrei sembrare disfattista ma il confronto con la produzione giornaliera di CO2 di una normale coppia di polmoni umani che è di circa 1,15 kg (equivalente perciò a 57.5 mail da 1Mb) riesce a tenermi tranquillo.... anche se ho avuto la forte tentazione di iscrivermi al gruppo di facebook intitolato: “Riduci le emissioni di CO2: non respirare!”...
Resta il fatto però che i comportamenti virtuosi sono auspicabili anche nelle piccole cose, che moltiplicate per milioni di individui diventano grandi cose. E allora sarebbe meglio evitare di spedire via mail tutte le foto delle vacanze ad alta definizione a tutti gli amici perché, in questo caso il consumo è quello di un tir smarmittato che viaggia controvento. Anche perché esistono siti di condivisione gratuita dove possiamo lasciarle fino alla fine dei giorni e dove gli amici possono andare a vederle o a scaricarle in ogni momento.

Il panorama non sarebbe però completo se non si concludesse con una merce che in Italia è la causa di buona parte dell'inquinamento urbano e per la quale non c'è logistica che regga: i figli.
L'ordine di grandezza del caos urbano subisce una svolta cosmica all'apertura delle scuole e l'isteria collettiva raggiunge livelli impensabili in tempi di pace. L'alibi più intoccabile di questa epoca senza valori - l'amore per i proprii figli - autorizza i genitori/tassisti ad ogni nefandezza e la legge della giungla vige ad ogni angolo di strada. Dalla scuola al parco alla piscina alla palestra alla discoteca e ritorno il flusso di veicoli è incessante e non è immaginabile alcun tipo di ottimizzazione (anche perché quelli in automobile sono fra i pochi momenti di possibile confronto generazionale...).
Forse sembrerà eretico portare ad esempio il sistema educativo anglosassone proprio qui in Italia dove è stata cullata la cultura Occidentale, ma il modello delle high school, (dove si studia, si mangia, si fa sport e musica) e quello dei campus universitari (dove inoltre viene messo a disposizione un alloggio collettivo) ha degli indubbi vantaggi, oltre che logistici, anche dal punto di vista della maturazione sociale degli studenti e soprattutto libera le famiglie da una sudditanza insensata.
Ovviamente questo accentramento è possibile dove gli insegnanti vengono selezionati secondo i loro meriti e non in una Nazione dove un quotidiano è costretto a scrivere una lettera aperta al Presidente della Repubblica per fare in modo di non essere più L'UNICO STATO AL MONDO in cui la musica non viene insegnata nelle scuole.....

Un altro che conosco dice che il nostro problema più grande è il traffico... bah.


lunedì 31 ottobre 2011

perché si scrive

Alessandro Baricco prova a spiegare perché si scrive...
.. ma anche perché si fanno tante altre cose:

martedì 18 ottobre 2011

viaggiare sulle nuvole

Se vi piace viaggiare ma non avete in mente una meta precisa potreste scegliere questo spettacolare mezzo di trasporto: potrete affermare finalmente di andare dove vi porta il vento...





Dezeen - Passing Cloud by Tiago Barros

giovedì 6 ottobre 2011

territorial pissing


When I was an alien
Cultures weren't opinions
Gotta find a way, find a way, when I'm there
Gotta find a way, a better way, I'd better wait

Nirvana, territorial pissing

montaggio di sedia n°1
In questi giorni alla radio si sente ripetutamente la reclame di un'automobile dal costo osceno che recita: IL FUTURO APPARTIENE A CHI HA IL CORAGGIO DI ESSERE DIFFERENTE. La frase appare fin da subito gravida di risvolti contraddittori: decisamente inquietanti se li immaginiamo collegati alla diffusione della suddetta automobile, ma, al contrario, pieni di buone prospettive se li pensiamo applicati alle abitudini sociali che ci appartengono da ormai troppo tempo.
E' curioso ricordare che fino agli anni '80 la pubblicità ha promosso il conformismo (se non compri sei fuori dal gruppo) poi, poco alla volta, è diventato più efficace promuovere la necessità di un'identità individuale (se non compri sei nel gruppo). Oggi tutti quanti vorrebbero identificarsi con l'eroe solitario che si distingue dalla folla.
Questa convinzione è ormai consolidata e guardandoci intorno, o anche solo guardandoci allo specchio, constatiamo che molto spesso i nostri gesti, acquisti e pensieri sono meditati contro il mondo che ci circonda o almeno per differenziarci e distinguerci da esso.
Inorridiamo se incrociamo un'automobile uguale alla nostra; facciamo carte false per differenziare la nostra casa da quella del vicino e scappiamo se ad una festa c'è qualcuno vestito come noi (questo di più le ragazze...).
Questa polverizzazione di ideali e di sogni inizia a diventare un problema quando tutti questi individui, che lavorano duramente ogni giorno per costruirsi un armatura luccicante diversa da ogni altra, devono fare qualcosa insieme: come minimo non ci sono più abituati.

timor
Per provare a capire come l'universo degli oggetti che ci circondano non sia necessariamente una riserva di mattoni per costruire un muro che ci separa dal mondo (va bene ... questa non l'ho proprio inventata io..) ma piuttosto un grande libro che racconta la storia di un'epoca, della sua cultura, dei suoi legami con il passato e dei suoi propositi per il futuro, è da poco in libreria l'irragionevole (irriducibile?) autobiografia del più controverso e polemico dei grandi designer italiani.
25 modi di piantare un chiodo racconta, in ordine approssimativamente cronologico, la vita e gli ideali di Enzo Mari, novarese di nascita e milanese di crescita, che nel suo caso si fondono in qualcosa di simile ad una missione nel tentativo di rendere questo mondo migliore.
Il libro raccoglie in 16 capitoli, che costituiscono altrettanti fasi di una sofferta presa di coscienza, il combattimento intrapreso da Mari contro l'ignoranza e la volgarità, e la precoce scelta del ruolo che più di tutti gli avrebbe permesso di nutrire i suoi pensieri: quello dell'artista che con le sue opere ed il suo faticoso lavoro indaga gli istinti e la cultura degli uomini per realizzare opere capaci di dare un senso alla vita quotidiana.
L'elenco degli oggetti progettati da Mari, che magari abbiamo sulla nostra scrivania come il calendario timor, o in cui dormiamo come il letto tappeto volante, testimonia della sua onestà intellettuale: l'assenza di uno stile riconoscibile dimostra come non ci sia mai stata la tentazione di nascondersi dietro il successo. La lunga serie di aneddoti del libro è lì a dimostrare l'inevitabile ripartenza che ogni progetto ha reso necessaria.
Nel racconto viene fuori tutto il suo carattere polemico e burbero che però può illuminarsi ed entusiasmarsi nella collaborazione in vista del progetto: sia con i suoi colleghi, che insieme a lui hanno inventato il design, sia con gli operai delle ditte per cui progetta, che interroga continuamente per capire le tecniche di lavorazione più appropriate, sia con gli studenti, per i quali elabora tecniche di addestramento poco convenzionali.

16 animali
Questo libro riporta alla luce questioni d'altri tempi come l'eccesso di specializzazione dei saperi o l'inetta supremazia della tecnica nelle pratiche progettuali. Ovviamente il fatto che siano questioni più che secolari non significa che abbiano trovato una soluzione, anzi la questione più grande è proprio che siano state dimenticate e non siano piuttosto tatuate, come monito, sugli avambracci di ogni laureato.
Poiché sono certo che tutte le mie parole non abbiano chiarito il personaggio, userò quelle che Ettore Sottsass utilizzò negli anni '70 per descrivere una collezione di porcellane progettate da Mari:
Credo che queste porcellane bisogna toccarle con cura, come si tocca una memoria della vita, credo che bisogna onorarle come si onorano gli strumenti di un rito, credo che bisogna appoggiarle adagio sul legno del tavolo, come si appoggia adagio il foglio fragile di una lettera che racconta avventure malinconiche, credo che poi, forse, vadano avvolte nel lino e riposte in un armadio molto speciale perché non vengano toccate dalla ferocia della vita quotidiana che non fa altro che farci dimenticare, dimenticare, dimenticare le mani affaticate, gli occhi spaventati, la pelle inerme della gente; voglio dire della gente che cammina per le strade, quella gente che la sera passa il cancello, sale sulla bicicletta e percorrendo stancamente il bordo della strada, un palo della luce dopo l'altro, se ne torna a casa. Ma forse non sono stato abbastanza chiaro.”

Quali parole potrebbe mai ispirarci la costosa mercedes?

lunedì 19 settembre 2011

musica in classe

Riporto qui di seguito la versione integrale dell'articolo apparso sul sole 24 ore dell'11 settembre.
Nel mio piccolo ci tengo a divulgare un'iniziativa di importanza sconfinata.


Quest'Italia non ha più orecchio


Siamo in un teatro, nell'intervallo di un concerto. Cominciano a rientrare gli orchestrali. Sono bravi, questi giovani! È bello vederli. Anche l'Italia può essere bella, se la cogliamo nel luogo giusto e all'ora giusta. Li osserviamo: un fiorire di teste brune, castane, bionde, capelli ricci o tagliati a spazzola o code di cavallo e chiome d'angelo lunghe e lisce...

Ci volgiamo alla platea. Vediamo un mare di teste canute, ritinte, calve, spelacchiate, e sotto quell'albedo chiazzata di bianco d'uovo e di bianchiccio e di giallastro malsano e di grigiastro, vediamo fronti macchiettate sopra occhiaie scavate, rassegnate, tristi, rancorose, e sotto quella nigredo indoviniamo membra risecchite o gonfie, gambe malferme, abiti di risibile eleganza. Questo è il pubblico della musica forte, oggi in Italia. A mano a mano che madre Natura decreta, quel pubblico si sfoltisce, si accartoccia, va in briciole e in polvere come la «povera foglia frale» di Arnault ridisegnata da Leopardi. E le nuove generazioni? No, da molti decenni, quel pubblico non si rinnova più. Non c'è il ricambio, del quale, fino a quarant'anni fa, c'era almeno l'illusione ottica. Quando tutti i canuti e ritinti saranno volati in cielo, sarà finita. Non ci sarà più pubblico.
Per la musica "forte", in Italia, pare non esserci speranza. Sì, "forte": è in corso la nostra battaglia per sostituire questo aggettivo a locuzioni improprie e fuorvianti, "musica classica", o "seria", o "colta", e ci sorprende piacevolmente (questo, almeno!) che i nostri sforzi stiano ottenendo udienza al di là di ogni speranza: una casa discografica ha dichiarato, aprendo il suo catalogo, di volere usare, d'ora in poi, la terminologia da noi proposta. "Forte" è la musica dotata della massima energia. Suscita traumi, estasi, sensazioni forti, come il terribile accordo dissonante che apre il Finale della Nona di Beethoven, come il Lamento di Arianna di Monteverdi il cui «Lasciatemi morire» è il decollo di un'astronave. La "musica debole" (non "leggera" o peggio "popolare"), si fonda sulla ripetitività, sul sottofondo, su banali sensazioni. Forte e debole non s'intendano come un aut-aut: sono qualità estreme, entrambe legittime, agli opposti di una serie di gradazioni. Si chiede soltanto che la musica debole e banale non spinga ai margini la musica energica e inventiva.


In verità, previsioni e proiezioni comprensibili anche a uno scolaro di seconda elementare indicano che, continuando immutato il corso dei fenomeni, la musica forte è destinata a scomparire, e con essa ogni traccia della tradizione musicale italiana (che per molti aspetti è europea, mondiale). Una catastrofe. Sarebbe possibile scongiurarla, e anzi rovesciare la tendenza. Basta domandarsi quale sia il differenziale, in materia, tra l'Italia e qualsiasi altro ordinamento statale in cui esistano democrazia e civilizzazione. Risposta: a parte quei paesi islamici in cui la musica è reato e peccato, haram (di quella subcultura non fanno parte, per esempio, la Turchia o la maggioritaria comunità islamica d'Albania, paese musicalissimo), l'Italia è l'unico Stato nel mondo in cui la musica non sia insegnata in tutte le scuole di ogni ordine e rango, e non limitata alle scuole specializzate. Poi ci si domanda come mai nel Paese del Bel Canto non nascano più nativi musicali, e come mai nelle famiglie non ci siano genitori o zii che facciano musica amatoriale! Se una disciplina è insegnata soltanto in sedi circoscritte, e al massimo livello scientifico, come l'egittologia o il restauro di libri antichi, e non entra nel circuito della cultura diffusa, essa è un tesoro che si spera bene custodito, ma la sua presenza nella società è nulla. Dunque, se questo è il differenziale, abbiamo individuato "more geometrico" il dovere che i legislatori italiani si dovrebbero assumere: introdurre finalmente l'insegnamento della musica in tutte le scuole pubbliche d'Italia, a qualsiasi grado. Sarebbe un'innovazione a costo zero, e chiunque neghi quest'ultimo connotato è da noi sfidato a un pubblico contraddittorio, con ampia facoltà di prova. 


Così ci siamo avvicinati a un nervo scoperto: legislatori di diverso orientamento politico sono sollecitati, da musicisti di assoluto prestigio e persino di fama mediatica, come Uto Ughi, Riccardo Muti, Salvatore Accardo, a compiere l'atto che avrebbe effetti decisivi, rovesciando un desolante destino: introdurre la musica in tutte le scuole d'Italia. Reagiscono come sappiamo: sono sordi, ciechi e muti. Alcuni di loro, quasi scusandosi, sussurrano che «non è il momento», che «il Parlamento ha ben altro cui pensare»... Ma in qualsiasi circostanza, con la massima stabilità politica e con il Pil alle stelle e una crescita annua del 126,9 %, la loro risposta sarebbe la stessa: avrebbero ben altro cui badare. Le vere ragioni che condannano all'estinzione la musica forte non sono finanziarie né contabili: sono culturali.
Questa certezza ci indica, probabilmente, un altro interlocutore. Colui che oggi è Presidente della Repubblica italiana è, incomparabilmente più che i suoi predecessori, attento alla realtà culturale, e sa perfettamente che il nucleo essenziale di ciò che l'Italia è e potrà essere è la cultura. È retorico appellarsi a lui? Può darsi, ma l'alternativa è la catastrofe. Sappiamo con certezza come al Presidente non sfugga una finzione primaria della musica: l'essere l'anello di congiunzione tra scienze dure e scienze molli, il trasmettere energia cognitiva, il far capire meglio, a chi segua studi musicali, la matematica e la pittura, la fisica e l'architettura, la cosmologia e la poesia o la psicologia. Gli è certamente noto come una vertiginosa sapienza antica (Platone, Quintiliano, Marco Aurelio...) abbia dichiarato incompetente e maldestro l'uomo che, senza conoscere a fondo la musica, si dedichi al governo dello Stato. Vogliamo gettare la musica nell'immondezzaio della Storia?
Perché in Italia la musica è assente dall'educazione e dall'istruzione normale? Nel 1861, divenuto primo ministro della Pubblica istruzione al governo dell'Italia unita, Francesco De Sanctis, per tanti aspetti benemerito, riorganizzando il nuovo sistema scolastico dai lacerti e brandelli di ciò che era stata l'istruzione borbonica, pontificia, ducale, granducale, austriaco-lombarda, eliminò spietatamente la musica, con una curiosa motivazione, condivisa da gran parte dei protagonisti della lotta per l'indipendenza (non da tutti, non da Mazzini, non da D'Azeglio...): la musica, egli pensava, era una disciplina per fanciulle educande, per signorine di buona famiglia, insomma un'attività femminile (dando all'aggettivo "femminile" un'accezione negativa in partenza!).
Un successore di De Sanctis al dicastero, Emilio Broglio, nel 1868 meditò di abolire anche i Conservatorii. Già allora ferveva la retorica degli "enti inutili". La radice filosofica neo-hegeliana, orientata verso una collocazione della musica a livello inferiore, sottoculturale, "manuale", ha agito a lungo, sciaguratamente, da De Sanctis a Croce, a Gentile, allo stesso Gramsci, fondatore? insieme con Bordiga? del Partito comunista, ma gentiliano per formazione radicata, come ha irrefutabilmente dimostrato Augusto Del Noce nel suo libro L'eurocomunismo e l'Italia (1976). Tre grandi orientamenti ideologici in Italia, l'idea liberale, il fascismo, il comunismo gramsciano, sono stati ostili all'insegnamento pubblico e diffuso della musica. Un quarto orientamento, quello cattolico, è stato reticente ed elusivo. Avremmo bisogno di spazio per analizzarlo nei dettagli. Bene: ora abbiamo gettato un po' di luce sull'origine di un misfatto. Dovremmo avere acquistato più forza, ora, per ricostruire sulle macerie.
Sostieni la musica nelle scuole! 
Per promuovere l'educazione musicale nelle scuole aderite all'appello e scrivete a:musicainclasse@ilsole24ore.com


martedì 16 agosto 2011

paradisi (racconti di fantasia)



You you
Soft and only
You you
Lost and lonely
You you
Just like heaven
 

the cure, just like heaven



PARADISO 1
Pasargadae, Persia, 540 a.C.
Quest'oggi ho cavalcato nel deserto di sassi per ore e ore. Sono giorni che non faccio altro.
Poi mi è sembrato di vedere che la linea che divide il cielo dalla terra si increspasse e poco dopo sono apparse le mura della città.
Era come la continuazione in verticale del pavimento del mondo; le vette degli alberi spuntavano da questo doppione dell'orizzonte costruito con la stessa terra di cui è fatto il suolo infinito.
Le guardie mi hanno osservato con sospetto e non posso dare loro torto: un messaggero da Babilonia in questo periodo potrebbe significare solo guai. 
Quindi sono stato condotto in una sala dove ho potuto fare le abluzioni, ripulirmi, cibarmi e dove ora sono in attesa di poter incontrare il re.
Ed ecco che alla fine un servo viene a prelevarmi per portarmi al cospetto del Grande Ciro re della Persia.

Egli siede sul trono al centro di un giardino che i miei occhi non potranno mai più dimenticare.
Nella mia città abbiamo il giardino più grande che mente umana abbia mai concepito: il re Nabucodonosor lo volle per dimostrare come si possa sconfiggere il deserto.
Ma questo dove mi trovo ora è un luogo differente da ogni altro e non sembra essere di questo mondo
Dal trono che sta sollevato e coperto per ripararlo dal sole si dipartono quattro lunghi canali che dividono lo spazio quadrato in altri quadrati. Qui ogni essenza conosciuta, ogni profumo, ogni colore si dispone in una regola che sembra aver piegato la natura ad un ordine che non può essere se non divino. Tutt'intorno i porticati indicano che tutto questo deve avere un limite.
Il re riconosce il mio stupore e mi dice:
- Quello che nella vostra lingua si dice giardino, presso di noi ha molti nomi differenti. Questo io lo chiamo pairidaeza. Presso di voi si direbbe paradiso.


PARADISO 2
San Francisco, 24.maggio 2011 d.C.
Questa mattina sono stato al mercato. Per la prima volta non sono andato per comperare ma per vendere: ho venduto due chili di carote e quattro pomodori alla signora che sta al numero 14 della mia via. Questa è stata la mia prima vendita. E poi altri sono passati dal mio tavolo e ho quasi finito tutto quello che avevo portato con me, soprattutto le patate sono sparite in pochi minuti.
Non ci sarebbe niente di strano se non fosse che io di mestiere faccio il tranviere. Conduco i Cable-car che si arrampicano e poi scendono a precipizio dalle colline della città.
Da qualche anno usavo il mio tempo libero per coltivare insieme a mia moglie ed ai miei vicini un terreno che il comune ci aveva lasciato in licenza. Dagli anni '70 ci sono molti Community Garden in città e quindi siamo tutti entusiasti da quando, il mese scorso, il sindaco ha emesso un'ordinanza che ci permette di vendere direttamente quello che produciamo nei nostri orti. Il ristorante cinese sotto casa ci ha chiesto se possiamo vendergli le patate. Non so se ne produciamo a sufficienza... vedremo.
Anche alla scuola del nostro ragazzo stanno trasformando il vecchio cortile malandato in un orto nuovo di zecca: il nostro Bob è sempre il più bravo nel lavoro perché già ci aiutava nei fine settimana e gli piaceva soprattutto seminare!
Ora devo andare. Fra poco inizia il mio turno al Cab.
See ya.


PARADISO 3
Barcelona, 28 maggio 2011 d.C.
Questa notte ho dormito qui in piazza, con gli acampados del movimento 15M. Da due settimane vivevamo in plaça de Catalunya per dimostrare che non ce la facciamo più a sopportare che chi decide per noi lo faccia senza pensare a noi. Non vogliamo che idee balzane, meccanismi economici indecifrabili, o personaggi omologati ad un sistema incontrollabile regolino la nostra vita. Quindi siamo venuti a vivere qui, davanti a tutti e insieme a tutti. Qui coltiviamo le aiuole per produrre del cibo, siamo protetti dall'assenza di muri, qui non ci sono i partiti perché c'è la politica, non ci possono rubare nulla perché quello che abbiamo è di tutti. O almeno così pensavamo. Questa sera la nostra squadra si giocherà la coppa e allora qualcuno ha deciso che noi non potevamo intralciare i festeggiamenti.
Allora ieri mattina è arrivata la polizia che voleva mandare via tutti, anche chi stava seduto a parlare. Sono volteggiati i manganelli e sono stati trascinati via vecchi e giovani che stavano seduti. E hanno distrutto gli orti dove c'era la loro insalata e le loro carote perché quello che c'era qui era nostro come loro.
Stamattina qua in piazza siamo molti in più di ieri e stiamo ricostruendo l'orto e stasera guarderemo la partita.
Tutti insieme.




PARADISO 4
Europe city, 16 agosto 2047 d.C.
La notte era calda. Era molto calda, umida e appiccicosa. Mi aggiravo annoiato fra i lampioni. Anche la luce colava giù dalle lampade melmosa, come se fosse piombo fuso. L'Agglomerato in estate non dava respiro. Da quando le radiazioni avevano reso tossici tutti gli alberi non era rimasto molto spazio per cercare frescura se non sotto terra.
Quindi scesi nella botola del PARADISE per farmi il bicchiere della staffa.
Avevo poche idee ma confuse e, benché sapessi esattamente cosa mi avrebbe aspettato nei giorni, nelle settimane e nei mesi a venire avevo deciso di dimenticarmene.
Poi, come quando un chiodo decide di essersi scocciato di reggere il suo quadro, all'improvviso accadde tutto quanto.
E da quel momento il mondo non fu più lo stesso.

giovedì 30 giugno 2011

l'interfaccia della città


Non avevate imparato abbastanza da Las Vegas? 
Provate qui ad immaginare New York come la pagine di un libretto di istruzioni dal quale bisogna capire come muoversi... 


... sia per esperti che per dummies

The Cooper Journal: NYC as an interface

ancora sulla neutralità della rete

... brutto segno. Quando si arriva a proteggere qualcosa per legge è perché in troppi hanno intenzione di impossessarsene...

Olanda, primo paese in Europa con una legge sulla neutralità della rete | Alessio Pisanò | Il Fatto Quotidiano

martedì 21 giugno 2011

google è morto. viva google!

Sul Sole24ore di domenica scorsa una pagina si occupa dello stesso argomento del mio ultimo post: la neutralità di Google. 
Un'intervista a Massimo Marchiori (wow, non sapevo che l'inventore del primo algoritmo di ricerca di G fosse italiano...) si espongono perplessità, molto più circostanziate delle mie, sulla parvasività dei motori di ricerca: 

... Oggi che Google è diventato un oracolo, usarlo presuppone un atto di fede. Come ai piedi dell'Olimpo, non si dubita di una divinità: altrimenti ti fulmina. Ma Marchiori può e vuole farlo, perché l'oracolo-Google in fondo è una sua creatura. E perché questo oracolo oggi è il principale fornitore di conoscenze: le sue ricerche «servono il cibo per le nostre menti». Il ragionamento è chiaro. Qualsiasi sistema che dà informazioni, fa una selezione. Dobbiamo quindi diffidare anche di Google: la sua metrica non è neutrale. Come quella di tutti gli altri motori di ricerca. Per dimostrarlo non serve la matematica: basta la cronaca.«Su questo siamo rimasti indietro proprio per la velocità della rivoluzione tecnologica». Il legislatore ha molta strada da fare. Si chiede Marchiori: «Chi garantisce che il cibo dell'informazione non sia alterato? Chi controlla che non ci siano danni per la salute intellettuale? Chi deve fare i controlli sul cibo della mente?». Come per gli alimenti, non si può pensare che il dovere di fare i controlli sia a carico del consumatore finale. Diversamente, «nutrirsi di solo Google può essere dannoso».
I prossimi anni saranno decisivi per capire se effettivamente la neutralità riuscirà ad essere preservata o se, come molti sospettano, vedremo la svolta commerciale di G.
Però il bello di internet continua ad essere che sorvegliati speciali e sorveglianti istruiti sono sullo stesso piano e hanno (quasi) le stesse infrastrutture per mettere in circolo le proprie opinioni; e poi, in un lampo possono anche scambiarsi di posto:


Il matematico-sociologo si sente parte di un tutto. «Mi piace l'idea che la ricerca che faccio sia usata da altri e per tutti - spiega -. È la soddisfazione più grande. Se facessimo ricerca solo per noi stessi, il mondo sarebbe più brutto». Anche in questo caso la dimostrazione è nei fatti: «Se non ci fosse stato Google, forse la mia idea sarebbe rimasta nel cassetto». Poi confessa: «Il pre-algoritmo di Google non è stato la cosa migliore che ho fatto». Marchiori è pronto a inventare Google per la seconda volta? «Ho un'idea», ammette sorridendo.

giovedì 9 giugno 2011

nella vecchia azienda agricola, icola, icola, icola

Non fermarmi adesso
perché mi sto divertendo così tanto
e non voglio smettere per niente
    Queen, don't stop me now

Le generalizzazioni sono quelle cose che ci fanno avere un'opinione su qualche cosa che non conosciamo.
E' uso e costume avere opinioni anche su argomenti che non ci interessano per niente: ci sono reti televisive che organizzano il loro palinsesto sulla questua di ogni tipo di pareri raccolti per le strade.
Dal momento che farsi un'idea sensata è faticoso ed il microfono del giornalista che ci chiede insistentemente la nostra opinione è lì, pressante, narciso ed imbarazzante, rispondiamo sputacchiando frasi sconnesse come una rapsodia di Gershwin pensando così di mettere agli atti una volta per tutte la nostra identità.

Il contrario della generalizzazione è l'approfondimento, la conoscenza, e quindi l'opinione fondata su un sapere piuttosto che sull'impulso di un attimo.
Non so prima, perché non c'ero, ma negli ultimi 4000 anni la trasmissione e la diffusione della conoscenza sono sempre state controllate da pochi eletti, i quali, di solito, se ne sono approfittati... Anche nell'ultimo secolo, che sembrerebbe essere stato la culla del liberalismo, in realtà la diffusione delle idee è sempre stata vincolata a chi aveva il controllo del supporto: le case discografiche per il vinile e poi i cd; gli editori per la stampa su carta e soprattutto la distribuzione di romanzi, saggi e giornali; i presidenti del consiglio per le televisioni...
Negli ultimi 20 anni di progressiva diffusione di internet si è potuta sviluppare una liberazione dai tradizionali strumenti di diffusione culturale: la rete è un luogo in cui lo spazio è stato annullato ed io posso accedere a tutte le opinioni del mondo in un solo istante.

Il problema è però sempre lo stesso: a chi mi rivolgo per costruire il mio sapere per poi produrre un'opinione sensata? Come scelgo la gerarchia degli argomenti che leggerò sul mio schermo? Prima sarei andato in libreria, in biblioteca, dal parroco o avrei semplicemente chiesto ad un amico o un genitore.
Oggi uso un motore di ricerca.
E' inutile spiegare quanto sia importante che l'algoritmo matematico che sta alla base dei più diffusi motori di ricerca RIMANGA SEGRETO. Scoprire il modo per far sì che il proprio nome o prodotto esca sempre al primo posto della lista di una ricerca su google offrirebbe un potere esagerato. Esiste un vivace dibattito sul tema della neutralità di Google (che al momento gestisce circa 2 milioni di ricerche al minuto in tutto il mondo !!); in molti tengono d'occhio la società di Mountain View dove, sempre più spesso, si devono prodigare nel dimostrare l'imparzialità dei loro servizi.
Però, come la ricetta della CocaCola è segreta ma non possiamo negare che contenga acqua e zucchero, allo stesso modo non si può eludere il fatto che alla base delle gerarchie delle ricerche di Google ci sia la quantità di collegamenti che indirizzano verso un argomento (se 10000 articoli trattano di Marco Pozzo, presidente del consiglio comunale di Savona, e solo 1 porta al sottoscritto - sigh.. - inevitabilmente sarà il primo ad essere in cima alla lista).

Non ci è voluto molto perché qualcuno capisse che ci si poteva fare del denaro e quindi sono nate le content farm che non sono altro che “coltivazioni” intensive di parole. Se voi avete un'attività di pedicure per gatti e volete che ricercando la parola “gatto” la vostra azienda appaia fra le prime della lista vi rivolgete ad una di queste società (pagando fior di dollaroni!!) che metterà in movimento i proprii scrittori inondando la rete di articoli che collegano sapientemente il vostro nome con il termine GATTO.


La principale di queste “fattorie” può arrivare a produrre ogni giorno più di 30000 articoli che, per statuto, non richiedono buon senso né capacità letterarie... Gli scrittori arrivano a produrre 5 pezzi al giorno che renderanno 15$ ciascuno e voi scalerete posizioni in rapporto a quanto siete disposti a sborsare. Si produce immondizia culturale in cambio di visibilità (e quindi ritorno pubblicitario) ingannando il motore di ricerca e chi ne fa uso.
Google dice di aggiornare in continuazione i parametri di ricerca in modo da evitare queste deviazioni ma rimane il timore che, a causa di questo spamming culturale, la rete diventi, come la televisione, un luogo dove è scoraggiante cercare dei contenuti.


Se però volete essere certi di trovare dei contenuti (??) nella loro forma più pura e incorruttibile (??!) allora dovrete rivolgervi a quei buontemponi di dead drops: quando la rete diventa troppo facilmente manipolabile possiamo farne a meno e diffondere capillarmente le nostre idee nascondendole fisicamente nei muri. Basta una piccola memoria di massa USB, un po' di calce ed una consenziente fessura in un muro della nostra città. Nessuno si accorgerà di quella piccola sporgenza tranne chi avrà trovato le sue precise coordinate su deaddrops.com e potrà collegare il proprio computer per controllare se sono state lasciate inestimabili opere d'arte o anche solo cosa si dice in giro...
Rock'n roll can never die.

mercoledì 1 giugno 2011

oggi ho piantato un albero

Anche se fuori piove e non lontano nevica, anche se siamo a giugno, mi sono messo d'impegno e ho piantato un albero.
Non mi sono affaticato molto.
Ho scritto queste poche righe e ho messo questa piccola icona che vedete in alto a destra.
Al resto ci hanno pensato quelli di dove conviene che, in cambio di questo piccolo sforzo, mi hanno promesso di piantare un albero a nome mio per compensare la produzione di anidride carbonica che la gestione di questo blog comporta. 
Da ora sarò carbon neutral per 50 anni e posso andare a pranzo rilassato.

martedì 31 maggio 2011

superorti urbani



La notizia ci ha messo più di un mese ad arrivare in Italia nonostante sia di quelle che cambiano il mondo...
Il sindaco di San Francisco ha firmato una ordinanza che favorisce la diffusione degli orti urbani - all'interno di aree abbandonate o dismesse - ma, soprattutto, che autorizza la vendita degli ortaggi che lì vengono prodotti.
La città che ha inventato la beat generation, gli hippies, e poi la silicon valley, pensa che con le parole non si combini granché e continua a sperimentare comportamenti che magari fra 20 anni vedremo come naturali. 
Ringrazio Nadia per la segnalazione.

Dal giardino di casa al cliente

Urban farming ready to take root with approval from San Francisco | Alexis Terrazas | Local | San Francisco Examiner

sabato 28 maggio 2011

venerdì 20 maggio 2011

mercoledì 18 maggio 2011

paure, preoccupazioni e possibilità

Ma chi ci guadagna dai nostri dati?  
Il blog crisscrossed è sempre particolarmente attento a sorvegliare gli sviluppi della libertà di espressione sulla rete:


Who to feed? The open vs. the commercial race for data 

martedì 10 maggio 2011

via dalla pazza folla

       “Doc, devi prendere più rincorsa. Non c'è abbastanza strada per arrivare a 88!”
       “Strade? Dove stiamo andando non c'è bisogno di .... strade!”
       Bob Zemeckis, Ritorno al futuro






Questa rubrica dovrebbe avere lo scopo di raccogliere notizie interessanti dal mondo, sprazzi di intelligenza, qualche soluzione pratica che aiuti a vivere meglio..
Non questa volta.
Questa volta la confusione e il dubbio hanno preso il sopravvento.

Ho visto un progetto e sono ancora a bocca aperta.
Si costruirà una nuova centrale idroelettrica.
(Bene! Energia pulita, da fonte rinnovabile, niente scorie; la riconversione semplice; materiali riciclabili, niente strascichi. Molto bene).
Si decide di farla nel deserto, o quasi, in Medio Oriente, dove di solito ce la si sbriga in modo rude, con grandi centrali nucleari che qualche LIEVISSIMO problema di scorie e di dismissione lo danno.
(Benissimo; voglio dire... sempre che si riesca a trovare l'acqua nel deserto...)
La facciamo in mezzo a due laghi (ah! Allora l'acqua c'è. Meglio) scavando un enorme tubo dentro una montagna e mettendo delle sconfinate turbine nel centro di una caverna proprio nel mezzo di questa montagna. (Fantastico. Nessun impatto visivo e anche il rumore delle turbine sarà annullato da metri di roccia).
Il dislivello fra il lago superiore e quello inferiore è di 400 metri quindi la produzione di energia sarà proporzionalmente molto alto (bé... cosa vogliamo di più dalla vita? Festa!).
Un lago artificiale è come un grande accumulatore di energia, pronto a fornirla quando se ne ha bisogno e a conservarla appena si chiude il rubinetto, però il bacino che sta a monte non è alimentato da sorgenti o fiumi perenni (ehhh.. ci pareva... Nel deserto...! quindi?).
L'acqua, che di giorno viene fatta scendere nell'enorme tubo e produce un fottìo di energia, durante la notte viene ripompata dal lago inferiore a quello superiore (?!?) utilizzando l'elettricità prodotta dalle centrali nucleari (ma.. come?!).
La convenienza sta nel fatto che l'energia prodotta di giorno viene venduta ad un prezzo alto mentre quella che viene consumata di notte si compra ad un prezzo molto più basso, come impone la buona vecchia legge della domanda e dell'offerta (...).
Inoltre le centrali nucleari, una volta avviate, sono più difficili da modulare, quindi di notte producono più di quello che il mercato riesce ad assorbire, mentre quelle idroelettriche riescono ad essere regolate in base alla domanda ed inoltre costano molto meno, quindi una serie di luoghi di produzione come questo sono in grado di compensare perfettamente le richieste del mercato.
Grande perplessità.
Se si valuta il progetto in modo sbrigativo sembra tutto una follia: questa grossa e costosissima macchina CONSUMA ENERGIA INVECE CHE PRODURLA!! Infatti il meccanismo che pompa l'acqua verso l'alto ha un rendimento inferiore al generatore che sfrutta la caduta della stessa...
Se si guarda il tutto con un sguardo tecnico invece sembrerebbe sensato che una centrale meno costosa, più sostenibile e più adattabile prenda il posto di una grossa centrale atomica che finirebbe col produrre più energia di quella che viene consumata in alcuni orari; mi si dice che questa sia una soluzione da manuale e che esistono parecchi interventi di questo tipo...
Ma se provassimo a salire in piedi sul seggiolone della chicco per vedere tutto ancora più da lontano, se i neuroni fossero in forma ed il buon senso ci sostenesse, potremmo ipotizzare che la grande rete di distribuzione dell'energia non sia il sistema più elastico per limitare i consumi. Anche solo perché, se una buona porzione di utenti decidesse, com'è auspicabile, di spegnere la luce, il sistema, afflitto dal suo gigantismo, faticherebbe a smettere di produrre iniziando a girare a vuoto...
Grande incertezza.
Il problema del risparmio energetico globale non sembra essere tanto una questione di tipo di fonte scelta (carbone, sole, vento, plutonio, manovelle, pedali, ecc...) quanto di scala dimensionale e di come le centrali di produzione vengano organizzate e messe in rete fra di loro.
Praticamente tutta l'energia che viene prodotta anche in modo virtuoso con pannelli solari sui tetti delle abitazioni, o con altre fonti sostenibili, viene comunque immessa in rete, e deve sottostare a complicati conteggi che garantiscono ai grossi gestori della rete di non diminuire mai troppo i loro guadagni (...!).
Anche il comparto della microgenerazione (un motore, tipicamente a gas, da tenere in cantina che produce calore ed elettricità), che molti indicano come la soluzione ideale per aumentare di parecchio il rendimento del combustibile evitando le dispersioni del trasporto dalle grandi centrali, ha bisogno di costruire una rete fra i generatori per evitare di produrre energia elettrica a vuoto o, al contrario di non essere in grado di rispondere ai picchi di domanda.
Infatti dove sono state faticosamente realizzate delle reti indipendenti di microgenerazione (Germania grazie ai generatori a gas della Volkswagen, Giappone grazie alle macchine costruite dalla Honda, ecc) non è possibile acquistare i generatori separatamente da un contratto con il gestore. Tanto più è piccola la rete, tanto più si diventa vulnerabili agli eccessi di domanda; quanto più la rete è grande tanto più la sua inerzia rende complesso e dispersivo il suo governo.
Grande dilemma.
Come risposta alla questione ci sono due tendenze in atto con intenti diametralmente opposti:
- la smart-grid, la rete delle reti; un cervellone che sta sopra tutti quanti noi, capace di mettere in moto il generatore della vostra cantina per accendere una lampadina dall'altra parte del mondo (più o meno...)
- l'off-grid (fuori dalla rete) un'idea di alcuni ricercatori di Arezzo che ci credono così tanto da averla brevettata e trasformata in un progetto commerciale. In questa configurazione quando il nostro pannello solare produce elettricità che non viene consumata, invece di venderla all'Enel ce la teniamo per noi e ci produciamo idrogeno che viene immagazzinato. Questo può essere poi bruciato per riscaldare la casa o cucinare, oppure esser riconvertito in elettricità tramite le cosiddette pile a combustibile che sono anche in grado di far funzionare la nostra automobile. Alcune di queste tecnologie sono da poco in commercio e quindi passibili di miglioramento ma i primi edifici realizzati con questi criteri hanno rappresentato l'Italia alla Biennale d'architettura di Venezia e all'Expo di Shanghai.
In queste stesse sedi, dove si presenta l'eccellenza della ricerca di ogni nazione, non c'era traccia di energia nucleare.
Grande confusione.