giovedì 6 ottobre 2011

territorial pissing


When I was an alien
Cultures weren't opinions
Gotta find a way, find a way, when I'm there
Gotta find a way, a better way, I'd better wait

Nirvana, territorial pissing

montaggio di sedia n°1
In questi giorni alla radio si sente ripetutamente la reclame di un'automobile dal costo osceno che recita: IL FUTURO APPARTIENE A CHI HA IL CORAGGIO DI ESSERE DIFFERENTE. La frase appare fin da subito gravida di risvolti contraddittori: decisamente inquietanti se li immaginiamo collegati alla diffusione della suddetta automobile, ma, al contrario, pieni di buone prospettive se li pensiamo applicati alle abitudini sociali che ci appartengono da ormai troppo tempo.
E' curioso ricordare che fino agli anni '80 la pubblicità ha promosso il conformismo (se non compri sei fuori dal gruppo) poi, poco alla volta, è diventato più efficace promuovere la necessità di un'identità individuale (se non compri sei nel gruppo). Oggi tutti quanti vorrebbero identificarsi con l'eroe solitario che si distingue dalla folla.
Questa convinzione è ormai consolidata e guardandoci intorno, o anche solo guardandoci allo specchio, constatiamo che molto spesso i nostri gesti, acquisti e pensieri sono meditati contro il mondo che ci circonda o almeno per differenziarci e distinguerci da esso.
Inorridiamo se incrociamo un'automobile uguale alla nostra; facciamo carte false per differenziare la nostra casa da quella del vicino e scappiamo se ad una festa c'è qualcuno vestito come noi (questo di più le ragazze...).
Questa polverizzazione di ideali e di sogni inizia a diventare un problema quando tutti questi individui, che lavorano duramente ogni giorno per costruirsi un armatura luccicante diversa da ogni altra, devono fare qualcosa insieme: come minimo non ci sono più abituati.

timor
Per provare a capire come l'universo degli oggetti che ci circondano non sia necessariamente una riserva di mattoni per costruire un muro che ci separa dal mondo (va bene ... questa non l'ho proprio inventata io..) ma piuttosto un grande libro che racconta la storia di un'epoca, della sua cultura, dei suoi legami con il passato e dei suoi propositi per il futuro, è da poco in libreria l'irragionevole (irriducibile?) autobiografia del più controverso e polemico dei grandi designer italiani.
25 modi di piantare un chiodo racconta, in ordine approssimativamente cronologico, la vita e gli ideali di Enzo Mari, novarese di nascita e milanese di crescita, che nel suo caso si fondono in qualcosa di simile ad una missione nel tentativo di rendere questo mondo migliore.
Il libro raccoglie in 16 capitoli, che costituiscono altrettanti fasi di una sofferta presa di coscienza, il combattimento intrapreso da Mari contro l'ignoranza e la volgarità, e la precoce scelta del ruolo che più di tutti gli avrebbe permesso di nutrire i suoi pensieri: quello dell'artista che con le sue opere ed il suo faticoso lavoro indaga gli istinti e la cultura degli uomini per realizzare opere capaci di dare un senso alla vita quotidiana.
L'elenco degli oggetti progettati da Mari, che magari abbiamo sulla nostra scrivania come il calendario timor, o in cui dormiamo come il letto tappeto volante, testimonia della sua onestà intellettuale: l'assenza di uno stile riconoscibile dimostra come non ci sia mai stata la tentazione di nascondersi dietro il successo. La lunga serie di aneddoti del libro è lì a dimostrare l'inevitabile ripartenza che ogni progetto ha reso necessaria.
Nel racconto viene fuori tutto il suo carattere polemico e burbero che però può illuminarsi ed entusiasmarsi nella collaborazione in vista del progetto: sia con i suoi colleghi, che insieme a lui hanno inventato il design, sia con gli operai delle ditte per cui progetta, che interroga continuamente per capire le tecniche di lavorazione più appropriate, sia con gli studenti, per i quali elabora tecniche di addestramento poco convenzionali.

16 animali
Questo libro riporta alla luce questioni d'altri tempi come l'eccesso di specializzazione dei saperi o l'inetta supremazia della tecnica nelle pratiche progettuali. Ovviamente il fatto che siano questioni più che secolari non significa che abbiano trovato una soluzione, anzi la questione più grande è proprio che siano state dimenticate e non siano piuttosto tatuate, come monito, sugli avambracci di ogni laureato.
Poiché sono certo che tutte le mie parole non abbiano chiarito il personaggio, userò quelle che Ettore Sottsass utilizzò negli anni '70 per descrivere una collezione di porcellane progettate da Mari:
Credo che queste porcellane bisogna toccarle con cura, come si tocca una memoria della vita, credo che bisogna onorarle come si onorano gli strumenti di un rito, credo che bisogna appoggiarle adagio sul legno del tavolo, come si appoggia adagio il foglio fragile di una lettera che racconta avventure malinconiche, credo che poi, forse, vadano avvolte nel lino e riposte in un armadio molto speciale perché non vengano toccate dalla ferocia della vita quotidiana che non fa altro che farci dimenticare, dimenticare, dimenticare le mani affaticate, gli occhi spaventati, la pelle inerme della gente; voglio dire della gente che cammina per le strade, quella gente che la sera passa il cancello, sale sulla bicicletta e percorrendo stancamente il bordo della strada, un palo della luce dopo l'altro, se ne torna a casa. Ma forse non sono stato abbastanza chiaro.”

Quali parole potrebbe mai ispirarci la costosa mercedes?

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