Cerco un centro di gravità permanente che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose e sulla gente, Franco Battiato
Ci sono alcune professioni, soprattutto quelle di recente invenzione, in cui si è consolidato l’utilizzo di un gergo fatto di termini stranieri non sempre di immediata individuazione. Non si capisce bene perché sia così dal momento che esistono quasi sempre termini in lingua italiana che raccontano bene e forse anche meglio le pratiche in oggetto. Sicuramente quando si opera in contesti multinazionali è necessario utilizzare dei termini condivisi per una maggiore facilità di comunicazione, ma è anche vero che conosco persone che lavorano nell’ambito della comunicazione che non sono ancora riuscite a comunicarmi con precisione il lavoro che fanno da anni: project manager ? publishers ? creative account ?? haeds hunters ??? Sicuramente poter definire il proprio lavoro con un termine un po’ oscuro per gli amici, e quindi il fatto di potersi sentire all’interno di una cerchia esclusiva e diciamo pure un po’ privilegiata, va a compensare le ore di straordinario che, normalmente, questo tipo di lavori richiede.
Per tutta questa serie di motivi mi sento un po’ in imbarazzo a parlare di benchmark come se fosse un termine che tutti dovrebbero conoscere. Però, nel documentarmi per questo articolo, l’ho trovato scritto così tante volte che penso di fornire un servizio utile alla moltitudine di lettori di NN nel tentativo di spiegarlo per quello che mi compete.
Wikipedia dice che un benchmark è “un parametro oggettivo di riferimento”, in pratica quello che tutti quanti cercano disperatamente da quando Cartesio ha scritto il discorso sul metodo. Ebbene figlioli miei gioite e sacrificate il vitello più grasso perché lo abbiamo trovato (bé almeno per l’edilizia… non proprio quello assoluto universale totale…)
Il nuovo piano casa voluto dal governo (quello sbandierato dai tg con “possiamo ingrandire le case del 20%”) è stato recepito da parecchie regioni, fra cui il Piemonte, con alcune sfumature di differenza ma quasi sempre con dei vincoli legati alla sostenibilità dei progetti. Le regioni consentiranno ai cittadini di realizzare una maggiore volumetria o faranno degli sconti sui costi di costruzione o introdurranno delle altre agevolazioni se l’ampliamento sarà particolarmente virtuoso riguardo ai consumi energetici e rispetterà l’ambiente in cui si colloca. Bello, direte voi, ma chi giudica? Ci saranno sempre i soliti favoritismi?
Ecco che qui piomba sulla scena il nostro splendente benchmark: ormai da alcuni anni l’agenzia interregionale itaca pubblica il cosiddetto PROTOCOLLO ITACA (ci si potrebbe scrivere un giallo: il rapporto pelican, Gorky park, il protocollo Itaca…) che, sulla base di un’attenta osservazione di cosa accade nel mondo riguardo alla costruzione delle abitazioni, dà i voti al progetto della vostra nuova casa: la vostra nuova casa è orientata male e non permettete al sole di riscaldare il vostro soggiorno d’inverno? Vi beccate un -1. Non avete un frangisole che blocchi il sole che rende così bollente il pavimento da rendere necessario un condizionatore in estate? Ancora un -1. Avete lasciato la ghiaia sul vostro vialetto invece di asfaltare in modo che la pioggia possa filtrare liberamente nella falda? Bravi +2. State usando un sistema di condizionamento solare sperimentale inventato da vostro figlio che frequenta la scuola Radioelettra? Ottimo +5.
In realtà i voti vengono dati sulla base di formule piuttosto complicate (io mi limito a guardarle come se fossero dei quadri astratti…) fondate su dei parametri (i benchmark appunto) che danno una valutazione da -1 a +5. Ad esempio se il vostro progetto è particolarmente gentile nei confronti dell’ambiente può permettervi di ampliare l’edificio fino al 35% in Piemonte, o avere sconti sugli oneri di urbanizzazione fino al 70% in Toscana o ad avere contributi fino a 20000 euro in Veneto.
In definitiva sembra che una legge nata principalmente per aiutare le imprese edili in un periodo di crisi possa, attraverso il protocollo Itaca, avere una ricaduta positiva sulla qualità abitativa diffusa.
C’è da chiedersi però, in un Paese che si ritrova con 20 milioni di vani vuoti su un totale di 120 milioni, cosa diavolo ci faranno tutti quanti con il 20% in più di volume! Si spera che questo nuovo ottimismo porti ad un incremento delle nascite se no ci ritroveremo con una quantità smodata di enormi ripostigli…
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