lunedì 15 settembre 2014

la pelle digitale che riveste le città

da NOVA
di Michael Storper

Uno “strato digitale” che ricopre le nostre città si sta sviluppando. Esso consiste in una diffusa rete di sensori nell’ambiente urbano e domestico, attivati da un complesso sistema di reti di comunicazione mobile che trasmettono in modo automatico e costante i dati degli utenti.
Come ogni nuovo cambiamento tecnologico, numerose sono le predizioni e speculazioni nella discussione pubblica rispetto a queste nuove infrastrutture digitali e alle loro possibilità nello spazio urbano.
La “smart” city viene spesso presentata come “la soluzione” ai problemi sociali, politici ed economici delle città. I sostenitori di questa tesi sono principalmente ingegneri, appassionati di tecnologie e politici locali, i quali si basano in parte su dati reali ed in parte su posizioni normative.
Per ora infatti si rivela una carenza di studi teorici ed empirici che vadano ad indagare in modo più sistematico queste assunzioni.
Dal mio punto di vista, ci con tre aspetti principali della città digitale che rappresentano i punti più salienti della trasformazione: la città digitale come fonte di enormi quantità di dati in tempo reale (i cosiddetti Big Data), i sistemi di gestione della città (che comunemente viene detta “Smart city”), e infine la questione della partecipazione e della governance. Tutto questo porta allo sviluppo di forme di interazione tra cittadini, imprese, organizzazioni pubbliche e private che sembrava semplicemente impossibile solo qualche anno fa.
Se le città sempre più producono grandi quantità di dati, questa disponibilità di informazioni, a livello aggregato o individuale, potrebbe rappresentare una risorsa molto ricca per le scienze sociali e per la maggior comprensione della società. Tuttavia sarà necessario porre un’enorme attenzione all’interpretazione di quanto “dicono” i dati, e non lasciarsi guidare da affrettate letture induttive, basate su facili correlazioni: il senso dei dati va cercato ben oltre semplici correlazioni e il ruolo del ricercatore nell’interpretazione dei dati rimane fondamentale.
Inoltre, nell’ambito della pianificazione, il razionalismo modernista ha il più delle volte fallito nella pianificazione di città perfette e pienamente sotto controllo. Allo stesso modo il tecnicismo della smart city che ci promette di risolvere gran parte dei problemi urbani non può non tenere in conto la complessità dell’ambiente urbano che male si adatta a un eccessivo controllo o a una gestione totale. Un ulteriore esempio deriva dalla retorica che le nuove tecnologie saranno in grado di ridurre le disuguaglianze tra i luoghi (che siano essi città, regioni o nazioni). Il fatto che viviamo in un “flat world” in cui non esistono distanze non trova però supporto nelle ricerche empiriche sulla globalizzazione dell’economia, per cui, invece che scomparire, le gerarchie tra luoghi si accentuano. Non abbiamo modo di pensare che la rivoluzione digitale possa essere in grado di annullare le differenze, piuttosto di accentuarle, dato che i luoghi più avvantaggiati saranno anche quelli in cui le risorse saranno meglio gestite e in cui la tecnologia verrà usata al meglio.
Le nuove tecnologie permettono una rappresentazione digitale della città, visivamente attraverso immagini e mappe e a livello informativo nella forma di liste, raccomandazioni, categorie di tutto ciò che esiste nell’ambiente urbano. Le informazioni che raccogliamo nella città e sulla città non solo sono sempre più spesso raccolte attraverso le nuove tecnologie e sempre meno parte di un’informazione circolante in reti sociali tradizionali, ma inoltre queste informazioni circolano su piattaforme di proprietà di singole imprese private.
Lo strato digitale delle città è quindi strutturato e plasmato dagli algoritmi e dallo stile di presentazione di grandi imprese private. Il modo in cui queste grande imprese decidono di strutturare l’esperienza online della città attraverso il filtraggio di informazioni per esempio, è molto simile al modo in cui l’algoritmo di ricerca di informazioni di Google influenza il nostro accesso all’informazione.
Come nel passato, la sfida per gli studiosi di questo nuovo fenomeno è di prendere seriamente il potenziale di questa trasformazione, evitando visionarie rappresentazioni di un possibile futuro, tenendo quindi saldi chiarezza e realismo.
Lo strato digitale è quindi un nascente insieme di tecnologie. Essendo ancora agli arbori del suo sviluppo, è un momento perfetto per studiare le sue potenzialità e i suoi effetti.
Esperti di tecnologie, dipendenti pubblici, attori privati e pubblici, sono tutti chiamati a ragionare su come questo nuovo strato digitale della città può migliorare la qualità della vita delle persone, nonostante altre questioni stiano emergendo, come per esempio nuovi poteri, nuove ambizioni, nuove competizioni. Se vogliamo che questa trasformazione migliori effettivamente le nostre condizioni di vita, è necessario uno studio empirico rigoroso dei processi e degli effetti dello strato digitale della città, e questo studio può seguire le linee identificate dalle scienze sociali.


Michael Storper discuterà di questi temi lunedì 15 settembre con un doppio appuntamento a Milano all’interno di Laboratorio Expo, il progetto di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e Expo Milano 2015.
Alle ore 10 alla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli (via Romagnosi, 3) e alle ore 17,30 in un seminario dal titolo “Makers and the city: comunità locali e connessioni digitali” presso We Make, via Stefanardo da Vimercate 27/5. Per info: www.fondazionefeltrinelli.it

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