giovedì 20 agosto 2015

consapevole di sé

C'è una scena nel film Transcendence (2014), in cui Morgan Freeman pone una questione fondamentale ad una macchina, che non è altro che l'intelligenza artificiale migrata dal defunto Johnny Depp:
- "Puoi provare di essere consapevole di te stesso?" (can you prove you're self aware?)

Johnny dallo schermo ad alta definizione sogghigna e risponde:
- "E' una domanda difficile. Tu puoi provare di esserlo?..."




Per un'intelligenza artificiale questo è un problema ineludibile; è la soglia prima della quale ci si trova davanti ad un computer e oltre la quale si apre uno scenario che la fantascienza sta provando a delineare da alcuni decenni.
Ma per un'intelligenza naturale, per un essere umano, è così diverso? La consapevolezza di noi stessi e di quello che ci circonda è un'operazione scontata?
Anche questo non è un tema nuovo per letteratura e cinema che da 
Frankenstein a Blade Runner ci stanno chiedendo se il modo di vivere di alcuni esseri umani non sia ancora meno evoluto di un rudimentale esperimento di individuo artificiale.

Il mio lavoro mi porta a riflettere su come configurare lo spazio e quindi come deformazione professionale continuo a guardarmi intorno per capire come gli individui ed i gruppi di persone occupano e si muovono nello spazio.

Mi sembra di aver capito che questo movimento avviene secondo due modalità:

1. 
Quando le persone si muovono o sostano senza pensare a quello che stanno facendo, si comportano come animali, usano l'istinto e alla fine prediligono sempre comportamenti che garantiscono la sicurezza e l'auto-conservazione. Sono sempre meravigliosamente affascinato da come nei luoghi affollati le persone tendano naturalmente ad occupare i corridoi, le strettoie e comunque quelle zone di spazio che impediscono il passaggio e permettono di "controllare il territorio": le soglie delle porte ed i luoghi rialzati divengono rapidamente aree da presidiare benché questo causi un evidente intralcio al movimento degli altri. La lotta per la sopravvivenza è sempre in corso ed il branco deve essere tenuto sotto controllo!
A questo proposito mi piace sempre raccontare agli studenti come Craig Dykersdello studio Snøhetta, spiega il progetto di pedonalizzazione per Times Square a New York il cui intento è proprio quello di evitare che le persone sostino nelle zone in cui possono intralciare il passaggio.
“But I think consciousness is a small part of who we are. I have a friend who had a sheepdog, and he said whenever he had a party it would herd the guests. It would tap their ankles or their knees, until, by the end of the evening, everyone at the party was in one corner. The dog was happy, but the important thing was that nobody noticed. As architects, I think, we have to try to be like the sheepdog at the party.”


Esiste un modo istintivo di rilevare ed usare lo spazio che non viene da quello che sappiamo ma da quello che i nostri sensi percepiscono.


2. 
Quando le persone, che non fanno il mio mestiere, iniziano a pensare coscientemente allo spazio in cui vivono lo caricano di significati e di simbolismi per impossessarsene e trasformarlo in un tassello che definisce la loro identità.
Ovviamente anche questo aspetto è ineludibile, e, anzi, è l'essenza stessa del fare architettura: a partire dagli allineamenti di menhir, passando per la "pietrificazione" della capanna lignea che ha generato gli ordini architettonici classici, fino all'iper-tecnicismo dei grattacieli che sfidano le leggi della statica al servizio della corporate identity.





Il progetto architettonico ed urbano si deve occupare di entrambi gli aspetti.
Se però ci si convince che un edificio è fatto solamente della seconda parte, che possiamo chiamare culturale, inizia a formarsi uno scollamento fra il modo di pensare dei committenti e quello dei progettisti che si allarga fino ad indebolire pesantemente l'autorità professionale di questi ultimi: il pensiero comune è che gli architetti si occupino di cose sfuggenti e poco concrete di cui si può tranquillamente fare a meno.
Questo pensiero è poi supportato dalla pletora di tecnici che lavorano intorno al progetto, e che per statuto professionale non si devono occupare della configurazione dello spazio e ne ignorano l'importanza o addirittura l'esistenza.
La conseguenza di ciò sono le case in cui tutte le funzioni sono perfettamente incastrate ma in cui la tristezza regna incontrastata; sono gli uffici in cui i cablaggi sanciscono la posizione delle scrivanie (e non viceversa); sono le cucine in cui il progetto si fonda sulla dimensione (smodata) del frigorifero; sono le piazze che si disegnano intorno al passaggio giornaliero dell'automobile del sindaco...

La gerarchia dei valori non contempla più le soluzioni spaziali elementari che ci fanno riconoscere come capolavori alcuni edifici del passato e che sono proprio le cose sfuggenti a cui pensiamo noi progettisti: l'ordine, il controllo della luce, la scoperta nei percorsi, l'apertura di viste privilegiate e la gestione delle emozioni. Uno spazio che produce emozioni è architettonico.
Al momento è drammaticamente difficile far passare questi concetti al grande pubblico e per tutti il bravo progettista è sempre solo quello che fa si che i battiscopa non si stacchino dopo 6 mesi. La cultura ingegneristica ha preso il sopravvento ed è diventato complicato anche solo comunicare il malessere che una scorretta configurazione spaziale può provocare.

In questi giorni Google ha messo in commercio un tablet che percepisce lo spazio: è in grado di capire e memorizzare le dimensioni della stanza in cui si trova con la possibilità di visualizzzare al suo interno dei nuovi oggetti tramite la realtà aumentata. Si chiama ProjectTango ed è stato sviluppato principalmente come sistema di controllo per robot e per il gaming; nei prossimi mesi sono previsti sviluppi che possono diventare rivoluzionari per chi progetta lo spazio.



Abbiamo macchine che sono consapevoli dello spazio in cui si trovano.

Si può dire altrettanto degli esseri umani?

venerdì 7 agosto 2015

a proposito di un edificio tutto bianco costruito accanto ad uno vecchio e pieno di macchie

Non saprei dire in che momento preciso del recente passato tutti gli Italiani abbiano deciso improvvisamente di preferire le cose vecchie alle cose nuove, però posso facilmente provare che non è sempre stato così.
Un centinaio di anni fa i Futuristi andavano in giro urlando di lasciare spazio al nuovo che avanzava e invocavano la guerra perché spazzasse via tutte le vecchie cose e le vecchie idee. Tra gli anni '30 e gli anni '50 si sono succeduti 2 o 3 stili architettonici uno più rivoluzionario dell'altro e nel secondo dopoguerra si è inventato il design industriale che nel resto del mondo stanno ancora cercando adesso di capire bene cos'è. Poi durante il boom economico degli anni '60 non ne parliamo nemmeno: costruire, produrre, fabbricare, inventare erano le sole parole che si sentivano in giro. Poi c'è stato un periodo abbastanza lungo di grande produzione ma di poca inventiva.

e poi...

il Nulla.

Come alla pressione di un interruttore 

                                                CLIC

tutti gli Italiani hanno iniziato a volere i coppi sul tetto a falde.
Anzi meglio:
hanno scelto di desiderare una casa antica;
hanno deciso che il progresso è brutto e disdicevole.

Magari va bene usare la tecnologia  per qualche grattacielo di uffici in cui lavora qualche poveretto..., ma chi ha la possibilità economica di scegliere evita le case costruite dopo il 1950. 
Mentre i cattivi dei primi film di 007 dimostravano la loro sconfinata ricchezza con case futuristiche e tecnologie improbabili, dagli anni '80 in poi hanno iniziato ad abitare castelli antichi e ruderi semiabbandonati. Il potere oggi si dimostra ostentando cimeli (vd. Bill Gates che a metà degli anni '90 compra il codice Leicester di Leonardo da Vinci).

Uno che conosco dice che in epoche di ottimismo si guarda al futuro con grande aspettativa e di conseguenza tutti desiderano le novità perché non possono che portare vantaggi. Invece  in periodo di crisi si preferiscono le cose del passato perché si ha paura di quello che ci riserva il futuro.

L'immagine che ho messo all'inizio di questo breve testo ha da qualche giorno invaso tutti i siti che parlano di architettura in Italia e si sta diffondendo anche nel resto del pianeta. 
Si tratta dell'ampliamento di un albergo di Venezia che affaccia su Canal Grande e su Piazzale Roma.

Da un certo punto di vista è molto positivo che se ne parli con toni così squillanti e qualunquistici perché si crea un'occasione per discutere del rapporto fra vecchio e nuovo in architettura, ed in senso più allargato, nelle cose della vita.

Io sono favorevole ad un progetto di rinnovamento delle forme, delle tecniche e del pensiero. Solo attraverso il lavoro che riflette su cose che non ci sono ancora possiamo arrivare ad un miglioramento negli individui e nell'ambiente in cui viviamo. Quando tutta una nazione si preoccupa solamente di conservare quello che c'è da quello che potrebbe venire mi impensierisco.

Non conosco nei dettagli il progetto dell'albergo veneziano ma mi immagino che sarà stato un lungo calvario di pareri, modifiche, varianti, fallimenti e ripartenze. Lo so perché TUTTI i progetti di architettura in Italia devono passare da questa triste e mortificante trafila che difficilmente permette ad un'idea progettuale di essere ancora visibile al completamento dell'edificio.

Alcuni di coloro che si sono occupati di questo nuovo edifico nei giorni scorsi, lo hanno fatto per evidenziare alcune possibili irregolarità che ci sono state nelle fasi di approvazione, ma comunque non si sono tirati indietro nel sottolineare il loro sdegno davanti all'estetica del prodotto finito.

In questi giorni si sta anche molto parlando di grandi novità che saranno introdotte dal governo per le mansioni dei Soprintendenti, e, guardacaso, è proprio una soprintendente al centro delle polemiche sull'albergo veneziano.

L'opinione che mi sono costruito negli anni di esperienza lavorativa - e anche di ricerca sulla specifica materia del controllo normativo nei secoli passati - è che l'unico modo sicuro per avere delle belle città, delle belle case ed un bel paesaggio è quello di formare dei bravi progettisti. Non c'è norma, vincolo o soprintendente che abbia il potere di fare bello un progetto brutto.

In Italia ci sono molti bravi architetti. Però sono invisibili in una sconfinata massa di professionisti mediocri che il più delle volte hanno qualità per emergere più efficaci della competenza.

Io non so se la soprintendente veneziana ha seguito delle procedure poco limpide, ma di certo ha fatto quello che il suo lavoro le richiede: si è presa la responsabilità di una scelta estetica. La stessa cosa hanno fatto i progettisti e con loro il proprietario dell'albergo.
Probabilmente quel piccolo edificio non cambierà l'immagine di Venezia né nel bene né nel male, ma sicuramente diventerà un raro esempio di edificio costruito in un'epoca in cui gli Italiani vorrebbero solo stare fermi a guardare quello che altri hanno fatto prima di loro.

lunedì 13 luglio 2015

modelli



Visita mostra alla Triennale di Milano per promuovere la nascita di Archi Depot Tokyo.  La Fondazione Archi Depot (Organizzazione per la preservazione della cultura dell’architettura) è stata istituita nel 2015 per preservare modelli e disegni della cultura architettonica giapponese. 
Dal 10 al 19 luglio 2015

sabato 9 maggio 2015

expopolare2015


Nelle due ultime serate sono stato, nell'ordine, a expo 2015 e ad uno spettacolo teatrale intitolato “NAZIONALPOPOLARE” al teatro Ringhiera nella periferia sud di Milano. Lo spettacolo racconta le riflessioni semiserie dell'autrice/protagonista, Serena Sinigaglia, su un tema che mi coinvolge da sempre: il rapporto fra la cultura alta e quella popolare.

Posso tranquillamente affermare che negli ultimi 25 anni non ho fatto altro che pensare a questa cosa!

Non ininterrottamente, grazie a dio. Ma sovente e professionalmente.

Traduco la questione negli argomenti a me più vicini: mi ha sempre scocciato assai la distanza evidente fra quello che fanno e pensano gli architetti e quello che tutti gli altri pensano dell'architettura, arrovellandomi saltuariamente nella ricerca di fantasiosi ed infantili stratagemmi che potessero ridurre questa separazione.

E allora la mia tesi di laurea si occupava di questo attraverso un progetto che cercava di essere colto e popolare allo stesso tempo; la mia tesi di dottorato parlava di questo: una ricerca storica durata tre anni che voleva capire se l'estetica delle città italiane derivasse da un movimento spontaneo dal basso o da normative imposte dall'alto; ogni lezione o revisione che faccio agli studenti di architettura finisce col parlare di questo: se il progetto architettonico possa essere autoreferenziale o debba parlare a tutti quanti.

Io non ho dubbi che la risposta giusta sia la seconda.

Ma il bello spettacolo di ieri sera mi ha dato nuove pezze d'appoggio che da oggi potrò usare per le conversazioni nei salotti buoni se mai vi sarò invitato.

Si cita Gramsci ma si prende in giro Sciascia; si maledice Berlusconi ma si constata l'inevitabilità dell'isola dei famosi; si dà la colpa di tutto a Pippo Baudo ma lo si mette sullo stesso piano di Shakespeare.
Non riesco a raccontare tutto quello che succede, anche perché consiglio di andarlo a vedere di persona, ma posso fortunatamente affermare con soddisfazione che lo spettacolo di ieri ha involontariamente dipanato tutti i miei dubbi su expo!

La sera prima ero tornato a casa da Rho portandomi dietro parecchia insoddisfazione.

Avevo comprato il mio biglietto online con fretta e trepidazione e mi ero avvicinato bramoso all'ingresso dei metal detector come pinocchio che avvista il paese dei balocchi.
Ma già dopo un paio d'ore è uscito il peggior snob che c'è in me e mi si è disegnato un punto interrogativo sulla faccia:


tutto qua?!?”


Baracconi, lucine colorate, ragazze scollate e badilate di retorica? Uno che conosco avrebbe detto “molto rumore per nulla”...

Poi stamattina, mentre masticavo pane e marmellata ripensando al nazionalpopolare mi si è attivato il neurone ed i collegamenti si sono chiusi!

Expo è Pippo Baudo che grida SIGLA!
E' la Clerici che mostra le sue tettone!
Ed è giusto che sia così. E' un mercato come un altro dove ognuno usa i suoi sistemi migliori per tirar su moneta e mi ero sbagliato io ad aspettarmi qualcosa di diverso.

Ma il nazionalpopolare buono e giusto, come quello della definizione di Gramsci, non lo troviamo nelle luci di expo. La cultura alta che piace a tutti devo essere bravo a distinguerla da me o a farmela indicare da chi ne sa più di me.
Certamente la trovo nel produttore di Franciacorta che si fa un culo come una capanna per dare alla luce il suo fenomenale rosé e che, mentre me lo versa, racconta che la cantante dell'Azerbaijan che sta lì nel padiglione di fianco, sarà anche carina, ma canta in playback da mattina a sera col volume smodato, e dopo 6 giorni lui non la regge già più, e figuriamoci sopportarla ancora per 6 mesi....
Fatico un po' a trovarla, ma alla fine ci riesco, nel sopraffino padiglioncino della biodiversità (commovente).
Ovviamente la trovo nelle 1000 biciclette elettriche che da stamattina sono infilate nei bike sharing della città, e soprattutto nella quarantina di stazioni nuove e particolarmente in quella che hanno messo sotto al mio studio (che dio li benedica e speriamo che funzioni il software che al momento mi sembra che perda colpi. Ma basta che lo dicano che gli do un santino di san Ghiso e tutto va in ordine).
Più che mai la vedo nella Metropolitana 5 che da una settimana ARRIVA A S.SIRO (quasi non riesco a dirlo mi viene un groppo alla voce. Che se qualcuno la userà magari si potrà pensare di uscire vivi da quella parte di città anche senza controllare il calendario della FIGC).
Senza dubbi la vedo nella coda di 1 ora e mezza per vedere il nuovo museo della pietà Rondanini al Castello (anche se, come dice la Gioia, l'allestimento vecchio era insuperabile).
Eppoi nell'Orticola ai giardini di Palestro e nel salone nautico alla darsena di oggi.
E ancora nel sito di Pianocity che dopo 6 ore che era aperto mi diceva che tutti i concerti nelle case erano già stati prenotati (che io ne ho prenotato in fretta uno qualsiasi ma mica ho capito se la prenotazione è andata a buon fine. Lo scopriremo solo vivendo...).

Lo spettacolo di ieri sera si concludeva dimostrando che, alla fine del 16° secolo, il pubblico di Shakespeare era formato da nobili, re e regine, ma anche da carrettai, mendicanti e massaie che durante le rappresentazioni piangevano, ridevano e gridavano la loro approvazione o il loro dissenso.
Probabilmente senza quel pubblico Shakespeare non sarebbe stato così grande.
Probabilmente solo un grande pubblico potrà tirare fuori quel che c'è di buono in expo.

SIGLA!!



Created with flickr slideshow.

venerdì 24 aprile 2015

crowdfunding


Stavo cercando alcune immagini della casa più straordinaria che mente umana abbia mai concepito: la Weiss house di Louis Kahn, 1950.




Ci sono pochissime immagini della casa in rete, e ancora meno degli interni. Io ne ho trovata una sola. Stavo escogitando diversi modi per fare delle ricerche sulle immagini. Quindi ho pensato di inserire l'indirizzo nella finestra di ricerca ed è uscito questo:



Beh ragazzi miei: la casa è in vendita. Non si fa cenno del progettista e anzi è la meno costosa del circondario. Secondo l'agenzia che la propone il suo pregio maggiore è il basso tasso di criminalità del quartiere e la vicinanza alle scuole elementari.

Si porta in dote più di 2 ettari di terreno con un prezzo di circa 1000 euro a metro quadrato.
Chiedo a tutti voi un piccolo obolo per coronare il mio sogno innocente.
Certo, fare il pendolare tutti i giorni fra la Pennsylvania e la Bovisa può diventare un po' stancante... però si vive una volta sola! Che diamine!

mercoledì 8 aprile 2015

la cura (a proposito di pavimenti e opere d'arte)


A distanza di poche ore ho visitato la pinacoteca di Brera (approfittando della gratuità pasquale)  ed il nuovissimo museo delle Culture di via Tortona: due luoghi che diventeranno fulcri dei percorsi turistici milanesi durante i 6 mesi di expo. 
Il museo delle Culture è stato inaugurato un paio di settimane fa dopo che il progettista britannico David Chipperfield, all'inizio di marzo, ne ha disconosciuto la paternità a causa della scarsa omogeneità della fornitura delle lastre del pavimento.
I termini della discussione fra il progettista e l'amministrazione comunale si possono leggere QUI.



Non conosco i retroscena del cantiere ma da una visita superficiale possono essere fatte alcune considerazioni elementari. 
L'ambiente è molto molto molto bello e raffinato.  
La famigerata "discromia" del pavimento che ha fatto rivoltare Chipperfield è evidente e fastidiosa, ma la tristezza assale il visitatore per quanto ci si sia approfittati della rissa finale per concludere i lavori senza un briciolo di amor proprio. 
- E' impossibile sostare in qualunque punto dell'atrio, della scala o del bistrot senza che l'occhio cada su una lastra del pavimento sbeccata o una fuga saltata! La scala in particolare sembra sia stata usata ripetutamente per far precipitare grosse carrozzine e ospitare marce militari.
- I getti di calcestruzzo a vista delle colonne di sostegno sono di buon livello CONSIDERANDO CHE SIAMO IN ITALIA ma non riuscirò mai a capacitarmi del fatto che a 50 chilometri da Milano, in Ticino, le imprese siano in grado di realizzare superfici in cls di qualità doppia!
- i pannelli in vetro che fanno da sfondo all'allestimento Mondi a Milano sono quasi tutti  decorati con abbondanti sbrodolate di colla. 
Probabilmente il visitatore medio non si accorgerò di questi difetti ma il problema è che edifici come quello dovrebbero proprio servire ad elevare lo spirito del visitatore per farne un individuo migliore e l'approssimazione non aiuta in questo. Non si può dimenticare poi che l'architettura non può che essere un'arte collettiva e per produrre un'opera d'arte non è sufficiente avere uno straordinario progettista!

Cosa c'entra la visita a Brera con tutto questo?
Nell'articolo dell'Independent che ho linkato qui sopra Chipperfiled conclude:
“My career in Italy was not motivated by the desire to get rich but by the desire to work in a society with a great history and a deep understanding of the importance of architecture.”
Vedere le opere esposte a Brera che hanno costruito l'immagine dell'Italia come culla della cultura e capire di cosa sta parlando Chipperfield non può che far impennare la disillusione e la sensazione di impotenza di fronte all'odierno disinteresse nel produrre oggetti con cura, o anche solo con un minimo di passione.

Durante expo potremo sempre fare un viaggio a Berlino per vedere gli strepitosi musei che Chipperfiled ha completato là in un contesto culturale più adeguato.

lunedì 9 marzo 2015

palude di Casalbeltrame (NO) . Parco Lame del Sesia

il progetto

stato di fatto



il cantiere






la costruzione del mobile per la stanza sensoriale



il percorso completato



l'inaugurazione







lunedì 23 febbraio 2015

casa di Carlo

La professione di architetto in Italia è diventata molto complicata e sovente arida di soddisfazioni.
Ma quando la provvidenza ti manda il committente che hai sempre sognato, tutto diventa più semplice.
Il progetto per la casa di Carlo è diventato una lunga chiacchierata amichevole durante la quale entrambi abbiamo portato le nostre passioni e le nostre invenzioni.  Il suo interesse per gli anni '50 (con qualche sguardo ai decenni circostanti) si è sviluppato in un'idea stilistica che si riconosce in ogni angolo dell'abitazione. Mi è rimasto solo il compito di mettere in bella la moltitudine di dettagli e stratagemmi usciti dalle infinite conversazioni (la sua signora è molto contenta che questo cantiere sia arrivato al termine...), per verificarne l'effetto prima di affidarli agli artigiani per la realizzazione.

Soprattuto è stato un sollievo poter evitare quei lunghi discorsi che solitamente si fanno ai clienti sulla necessità di separare sogni confusi e realtà; in questo progetto è stato chiaro fin da subito che ciò che si sarebbe visto alla fine sarebbe stata l'armonia delle forme, senza lasciare spazio a compromessi con la tecnologia sbandierata o con funzionalismi dozzinali.
Per tutti questi motivi esco da questa casa avendo imparato più cose di quelle che ho portato.


L'ingresso con il suo sontuoso sistema di illuminazione originale del 1957.

casa Carlo


Il soggiorno e la gola di luce sotto al soffitto.

casa Carlo


Lo studio illuminato dalla plafoniera di Max Ingrand per Fontana Arte del 1955.
casa Carlo


La sala da pranzo e la cucina abbandonano gli anni '50 ma propongono forme minime che non si contrappongono al resto della casa.

12bis


La cucina sfuma verso l'esterno con un grande specchio verticale ed un ripiano in cristallo ripiegabile.

casa Carlo


Il bagno con i pannelli che vanno a chiudere la "doccia che non c'è".

casa Carlo


L'arredo della camera da letto e quello dell'ingresso sono un progetto della fine degli anni '50 di un famoso studio milanese. Sono stati d'ispirazione per lo stile dell'intera abitazione.

casa Carlo


Lo slideshow dell'intera casa.




A questo punto l'ignaro lettore penserà: "facile lavorare bene quando non ci sono limiti di costo!". 
Qui di seguito riporto alcuni dettagli che spiegano come si sia riusciti ad ottenere un livello qualitativo altissimo con la sola cura di restare lontani dai mobili firmati e facendo realizzare tutti i nuovi arredi da artigiani di fiducia. I costi finali sono da grande distribuzione grazie anche alla meticolosa ricerca di soluzioni semplici ma efficaci.


I copricaloriferi in MDF.

1c


La doccia che non c'è.

3a


3b


3d


3f



Il portarotolo che scompare.

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Ed infine l'essenziale e indispensabile tavolino da cocktail!

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5b


Lo slideshow dei dettagli.

I miei colleghi si mettano il cuore in pace: ho già opzionato la consulenza di Carlo in esclusiva per i prossimi 50 anni....


domenica 8 febbraio 2015

sulle limitazioni nell'edificare

Ho condiviso su academia.edu la ricerca di dottorato scritta fra il 1996 ed il 1998.
Grande fatica e sofferenze ci sono volute per realizzare questo testo. Però nei tre anni che ho impiegato per scriverlo ho imparato quasi tutto quello che so sul senso del fare architettura.
E soprattutto ho imparato un metodo che in seguito mi ha dato molte soddisfazioni.
Ad esempio:
- le citazioni di seconda mano NON SONO AFFIDABILI!
- dal momento che il sapere è cumulativo sarebbe uno spreco di energie iniziare qualsiasi progetto senza intraprendere una ricerca esaustiva su quello che è già stato detto e fatto in proposito;
- fare ricerca in architettura è un po' più complesso che in altre discipline perché bisogna tenere insieme l'aspetto tecnico e quello umanistico che contribuiscono equamente al senso dell'idea progettuale.

Le fonti di riferimento della ricerca vanno da Vitruvio fino a Napoleone, quindi posso tranquillamente affermare che gli anni che ci separano dalla conclusione della ricerca non l'hanno fatta invecchiare più di tanto, e soprattutto non l'hanno resa meno attuale. 
La storia del rapporto conflittuale fra le Istituzioni, la normativa ed i progettisti è visibile nelle città in cui camminiamo ogni giorno ma molto raramente viene attivamente e consapevolmente considerata nei moderni strumenti di pianificazione e di tutela.
Questa ricerca vuole essere un piccolo contributo alla consapevolezza.

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