When
I was an alien
Cultures weren't opinions
Gotta find a way, find a way, when I'm there
Gotta find a way, a better way, I'd better wait
Cultures weren't opinions
Gotta find a way, find a way, when I'm there
Gotta find a way, a better way, I'd better wait
Nirvana,
territorial pissing
montaggio di sedia n°1 |
In
questi giorni alla radio si sente ripetutamente la reclame
di un'automobile dal costo osceno che recita: IL FUTURO APPARTIENE A
CHI HA IL CORAGGIO DI ESSERE DIFFERENTE. La frase appare fin da
subito gravida di risvolti contraddittori: decisamente inquietanti se
li immaginiamo collegati alla diffusione della suddetta automobile,
ma, al contrario, pieni di buone prospettive se li pensiamo applicati
alle abitudini sociali che ci appartengono da ormai troppo tempo.
E'
curioso ricordare che fino agli anni '80 la pubblicità ha promosso
il conformismo (se
non compri sei fuori dal gruppo)
poi, poco alla volta, è diventato più efficace promuovere la
necessità di un'identità individuale (se
non compri sei nel gruppo).
Oggi tutti quanti vorrebbero identificarsi con l'eroe
solitario
che si distingue dalla folla.
Questa
convinzione è ormai consolidata e guardandoci intorno, o anche solo
guardandoci allo specchio, constatiamo che molto spesso i nostri
gesti, acquisti e pensieri sono meditati contro
il mondo che ci circonda o almeno per differenziarci e distinguerci
da esso.
Inorridiamo se incrociamo
un'automobile uguale alla nostra; facciamo carte false per
differenziare la nostra casa da quella del vicino e scappiamo se ad
una festa c'è qualcuno vestito come noi (questo di più le
ragazze...).
Questa polverizzazione di ideali e di
sogni inizia a diventare un problema quando tutti questi individui,
che lavorano duramente ogni giorno per costruirsi un armatura
luccicante diversa da ogni altra, devono fare qualcosa insieme: come
minimo non ci sono più abituati.
timor |
Per provare a capire come l'universo
degli oggetti che ci circondano non sia necessariamente una riserva
di mattoni per costruire un muro che ci separa dal mondo (va bene ...
questa non l'ho proprio inventata io..) ma piuttosto un grande libro
che racconta la storia di un'epoca, della sua cultura, dei suoi
legami con il passato e dei suoi propositi per il futuro, è da poco
in libreria l'irragionevole (irriducibile?) autobiografia del più
controverso e polemico dei grandi designer italiani.
25
modi di piantare un chiodo
racconta, in ordine approssimativamente cronologico, la vita e gli
ideali di Enzo Mari, novarese di nascita e milanese di crescita, che
nel suo caso si fondono in qualcosa di simile ad una missione nel
tentativo di rendere questo mondo migliore.
Il libro raccoglie in 16 capitoli, che
costituiscono altrettanti fasi di una sofferta presa di coscienza, il
combattimento intrapreso da Mari contro l'ignoranza e la volgarità,
e la precoce scelta del ruolo che più di tutti gli avrebbe permesso
di nutrire i suoi pensieri: quello dell'artista che con le sue opere
ed il suo faticoso lavoro indaga gli istinti e la cultura degli
uomini per realizzare opere capaci di dare un senso alla vita
quotidiana.
L'elenco
degli oggetti progettati da Mari, che magari abbiamo sulla nostra
scrivania come il calendario timor,
o in cui dormiamo come il letto tappeto
volante,
testimonia della sua onestà intellettuale: l'assenza di uno stile
riconoscibile dimostra come non ci sia mai stata la tentazione di
nascondersi dietro il successo. La lunga serie di aneddoti del libro
è lì a dimostrare l'inevitabile ripartenza che ogni progetto ha
reso necessaria.
Nel racconto viene fuori tutto il suo
carattere polemico e burbero che però può illuminarsi ed
entusiasmarsi nella collaborazione in vista del progetto: sia con i
suoi colleghi, che insieme a lui hanno inventato il design, sia con
gli operai delle ditte per cui progetta, che interroga continuamente
per capire le tecniche di lavorazione più appropriate, sia con gli
studenti, per i quali elabora tecniche di addestramento poco
convenzionali.
16 animali |
Questo libro riporta alla luce
questioni d'altri tempi come l'eccesso di specializzazione dei saperi
o l'inetta supremazia della tecnica nelle pratiche progettuali.
Ovviamente il fatto che siano questioni più che secolari non
significa che abbiano trovato una soluzione, anzi la questione più
grande è proprio che siano state dimenticate e non siano piuttosto
tatuate, come monito, sugli avambracci di ogni laureato.
Poiché sono certo che tutte le mie
parole non abbiano chiarito il personaggio, userò quelle che Ettore
Sottsass utilizzò negli anni '70 per descrivere una collezione di
porcellane progettate da Mari:
“Credo
che queste porcellane bisogna toccarle con cura, come si tocca una
memoria della vita, credo che bisogna onorarle come si onorano gli
strumenti di un rito, credo che bisogna appoggiarle adagio sul legno
del tavolo, come si appoggia adagio il foglio fragile di una lettera
che racconta avventure malinconiche, credo che poi, forse, vadano
avvolte nel lino e riposte in un armadio molto speciale perché non
vengano toccate dalla ferocia della vita quotidiana che non fa altro
che farci dimenticare, dimenticare, dimenticare le mani affaticate,
gli occhi spaventati, la pelle inerme della gente; voglio dire della
gente che cammina per le strade, quella gente che la sera passa il
cancello, sale sulla bicicletta e percorrendo stancamente il bordo
della strada, un palo della luce dopo l'altro, se ne torna a casa. Ma
forse non sono stato abbastanza chiaro.”
Quali parole potrebbe mai ispirarci la
costosa mercedes?
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