Sono uscito questa mattina, non credevo ai miei occhi,
cento miliardi di bottiglie arenate sulla spiaggia.
The police, message in a bottle
Se avete un cellulare acceso in tasca dovete convivere con l'idea che qualcuno, da qualche parte, sa dove siete.
Ovviamente costui deve aver voglia di sapere dove siete (ad esempio il mossad non dovrebbe essere interessato alla mia posizione...) e deve avere accesso ai dati del vostro operatore telefonico da cui si vedrà a quale antenna della rete cellulare voi siete collegati.
Però mettiamo che a voi non interessi particolarmente nascondere i vostri spostamenti o che, al contrario, vogliate far sapere a qualcuno dove vi trovate in quel momento: allora si aprono degli scenari culturalmente esplosivi che potrebbero cambiare il nostro modo di utilizzare lo spazio.
Ad esempio Google approfitta di tutti quelli che danno il consenso a far conoscere la loro posizione per determinare a che velocità si stanno muovendo gli automezzi sulle strade e quindi a trasmettere al mondo il servizio “traffico” col quale possiamo conoscere le condizioni delle strade in tempo reale e scegliere il nostro percorso di conseguenza. In Italia questo servizio funziona solo per le autostrade ma in USA, Francia e Cina è attivo anche nelle grandi città e permette letteralmente di svicolare gli ingorghi vedendoli dall'alto.
Sempre Google, tramite latitude attivo sul telefono cellulare, permette di far sapere, a chi scegliamo noi o a tutto il mondo, dove ci troviamo esattamente. Anche facebook permette di condividere con gli amici la nostra posizione, ma il programma che potrebbe cambiare tutto si chiama foursquare: chi lo accende sul proprio telefono ritiene inutile anche il minimo concetto di privacy e si muove in uno spazio parallelo di comunicazione collettiva in cui il comando “mi piace”, tanto amato dagli utenti di facebook, viene appiccicato ai luoghi. Muovendosi con foursquare in funzione si vedono i luoghi vicini a noi segnalati e commentati dagli altri utenti e si vedono i punti di aggregazione, in cui c'è più gente e anche chi c'è e chi non c'è, ma soprattutto si può segnalare al mondo un luogo che si ritiene speciale e spiegare il perché. I locali o i negozi o i musei possono diventare coordinatori di questo movimento e premiare chi li frequenta di più (ad esempio consumazione gratuita per il primo iscritto della serata...), ed il tutto può diventare un grande gioco di società premiando coloro che diventano i maggiori frequentatori con il titolo di sindaco di quel luogo.
Che cosa hanno in comune questi strampalati strumenti di comunicazione se non permettere alle persone di far sapere a tutti quanti i fatti proprii? Quante volte succede di parlare con chi non vi permette neanche di interromperlo per l'ansia di raccontare la parte di sé che vuole che tutto il mondo conosca? Il problema sembra essere, piuttosto, trovare qualcuno che resti in ascolto. La privacy è quindi un gingillo per avvocati? Un problema legato a questioni commerciali? Infatti i 500 milioni di iscritti a facebook dimostrano che i rapporti sociali sono fondati esattamente sull'opposto della privacy, vale a dire sull'esibizione.
Una delle scene chiave di social network, il film nelle sale in questi giorni che racconta la turbolenta nascita di facebook, è quella in cui uno studente chiede al protagonista informazioni confidenziali su un ragazza: Zuckerberg risponde che non ne sa nulla e che la gente dovrebbe andare in giro con un cartello con su scritto se è sentimentalmente libera e le sue intenzioni. Facebook è questo cartello, un messaggio in bottiglia che vaga nella rete. Foursquare è invece un cartello piantato in mezzo alla strada che cambia le gerarchie spaziali utilizzando il sapere collettivo.
Questa idea di amicizia di massa incuriosisce molto chi deve progettare lo spazio fisico perché, se il progetto architettonico deve essere un gesto culturale diventa importante capire se la società si muove verso un futuro individualista e pieno di paure per la diversità, che trova la sua unica panacea nello shopping come vorrebbero convincerci la televisione e la pubblicità, oppure se si sarà in grado di utilizzare internet come strumento per realizzare una comunicazione di massa autogestita invece che filtrata.
A quanto pare il mondo virtuale di chi viaggia nella rete, a dispetto dei timori di scollamento dalla realtà, sembra possa tornare utile per la riappropriazione corale dello spazio fisico.
In Italia si stanno guadagnando una nota di merito in tal senso i ragazzi di critical city che hanno inventato un gioco contagioso in cui bisogna guadagnarsi dei punti girando per la propria città, ma anche restando a casa propria, superando delle prove sia individuali che collettive. Una specie di caccia al tesoro il cui risultato è una mappa divertita di luoghi abbandonati da riscoprire e di luoghi conosciuti caricati di nuovi significati.
Mentre c'è che costruisce muri (come quello che si è iniziato a realizzare pochi giorni fa al confine tra Israele ed Egitto), altri costruiscono ponti virtuali che finiscono con l'essere più utili dei ponti fatti di cemento e acciaio.
i like the way you move
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